Amore e persona

Oltre l’equivoco

“Un rapporto di coppia è come un giardino. Per crescere rigoglioso deve essere annaffiato regolarmente. Ha bisogno di cure particolari a seconda delle stagioni e del clima.”
(J. Gray)

L’amore è il tema più dibattuto dell’universo. Per questo è intriso di mitologie, leggende, credenze, narrazioni. E anche di molte sciocchezze! È uno dei più drammatici “equivoci” della nostra cultura.
La convinzione radicata è che l’amore sia talmente naturale che quando arriva non ci sia null’altro da fare che assecondarlo, prenderlo come viene, lasciarsi guidare.
È vero che l’amore romantico o passionale (che poi è più corretto chiamare “innamoramento”) è una delle cose più naturali che esista, equiparabile al sorgere spontaneo dei papaveri nei campi a primavera. Quindi perché porsi problemi? Perché non lasciar fare la “natura”?
La realtà è che l’amore maturo fra due persone, che dovrebbe essere (ma non sempre avviene) l’evoluzione favorevole dell’innamoramento, non è esattamente solo una faccenda naturale (fondata biologicamente), ma è frutto dell’intreccio fra due “entità” complesse che sono appunto i due innamorati di turno, con i loro rispettivi bisogni, desideri, sentimenti, convinzioni, valori, pregiudizi.
Quando due esseri umani, sull’onda della spinta biologica, si interessano profondamente l’uno all’altro è già in atto un processo biunivoco di proiezioni reciproche, aspettative, illusioni, fantasie, progetti grandiosi. Qualcosa che è tutt’altro che lineare, logico e razionale.
“Se amate qualcuno per la sua bellezza,
non è amore ma desiderio.
Se amate qualcuno per la sua intelligenza,
non è amore ma ammirazione.
Se amate qualcuno per la sua ricchezza,
non è amore ma interesse.
Se amate qualcuno e non sapete perché,
questo è possibile che sia amore.”

(Anonimo)

Il mito platonico dell’amore

A complicare le cose ci si mette Platone con il mito dell’amore come “mezza mela” che cerca il suo completamento con la sua metà speculare.
“Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non vi era la distinzione fra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione”.
Divisi a metà, come una mela, da quel momento vissero in una condizione lancinante, poiché sentivano l’insopportabile e inappagante mancanza della loro vecchia metà. Ogni pezzo della mela cominciò a cercare la parte che un tempo gli apparteneva e dopo averla trovata si ricongiungeva a lei. L’unico scopo di queste “mele disperse” era stare nuovamente insieme.
Una “boiata pazzesca” (Fantozzi direbbe di peggio …). Provate a mettere insieme due mezze mele, dopo qualche ora avrete in realtà una intera mela marcia, immangiabile!
L’amore fra due persone nasce certamente come un “mistero” inesplicabile preventivamente (forse solo molto dopo l’iniziale esperienza riusciamo a cogliere il senso di quell’amore), ma non è un fatto né naturale né scientifico, è più un’arte che bisogna imparare a praticare.

Dell’Amore in generale

Prima di addentrarci nello specifico dell’amore di coppia, provo ad avanzare qualche spunto di carattere generale sull’Amore.
Un giovane discepolo un giorno andò dal Maestro e gli chiese: “Come si fa ad imparare ad amare?”
“Beh – rispose il saggio – potresti iniziare a mettere in pratica queste regole:
– non dare mai un’immagine falsa di te stesso
– dai per primo quello che vorresti ricevere
– di’ sì quando è sì, e no quando è no
– mantieni sempre la parola data, anche e soprattutto quando ti costa
– dai all’altro il meglio di te stesso, riservando per te i tuoi difetti
– accogli dell’altro non solo i pregi ma anche i suoi difetti
– siì disposto a perdonare
– impara a chiedere scusa, quando ti accorgi di aver sbagliato
– condividi gli amici, vinci la gelosia, evita chiusure e possessività
– non smettere mai di amare, anche dopo delusioni e tradimenti.”

Il discepolo perplesso disse:
“Sono regole belle ma difficili da seguire!”
“Chi ti ha detto che amare è facile?”, rispose il Maestro.
“Non esiste l’amore facile, non esiste l’amore a buon mercato. Tutti cercano l’amore ma pochi sono disposti a pagarne il prezzo: la dedizione all’altro!”
“Allora quando potrò allora dire a me stesso di aver imparato ad amare?” chiese ancora il discepolo.
“Mai. – risposte il saggio – Perché l’amore non ha misura. Devi imparare l’arte della coltivazione e saper accettare l’incertezza del raccolto”.

Altre due frasi ad effetto da Baci Perugina!
– “La misura dell’amore è amare senza misura”.
– “Ama e fa’ ciò che vuoi”.
In realtà sono state scritte da due santi, in contesti diversi. Il loro significato autentico non è certo quello edonistico e vagamente lussurioso che delle tue frasi ne è stato superficialmente ed opportunisticamente ricavato.
La prima frase (erroneamente riferita a Sant’Agostino) è di Bernardo da Chiaravalle. Si riferiva all’Amore verso il Creatore:
“Dio va amato per Dio, questa è la causa.
Smodatamente, questo è il modo”.
Possiamo estensivamente associarla al senso dell’Amore universale, all’Amore con la A maiuscola.
La seconda frase è invece proprio di Sant’Agostino, in un contesto che nulla ha a che fare con l’invito al libertinaggio, al piacere smodato e all’egoismo spinto. La frase completa è:
“Ama e fa’ ciò che vuoi. Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene”.

– “L’unità di misura dell’Amore è l’eccesso. La normalità in amore è la straordinarietà. Se l’amore non è eccessivo non è amore.”
Questa frase (mia) è una possibile traduzione dell’amore mondano. Una declinazione terrena in cui l’Eros, insito in ogni relazione d’amore, non possa mai essere disgiunto dall’Ethos.
Un amore che va oltre la dimensione romantica dell’innamoramento, per giungere all’amore persona-persona, dove altruismo ed egoismo, amore di sé e amore dell’altro si incontrano su un piano più elevato, sia libidico che emotivo-affettivo.
Questa è forse la più autentica declinazione terrena dell’esortazione massima di Gesù: “Ama il prossimo come te stesso”.
Un modo umano possibile di dare valore autentico all’amore per l’Amore, nel riconoscimento reciproco, simmetrico e paritario fra le Persone.

Dall’innamoramento all’amore

Torniamo ora alla concezione dell’amore di coppia. Nell’innamoramento iniziale i due partner vivono uno “stato nascente” entusiasmante ma pur sempre irrazionale, una sorta di “follia a due”, in cui ciascuno pensa che l’altro sia il “migliore del mondo”: sostanzialmente un delirio!
Il passaggio all’amore maturo implica il mettere in atto, con pazienza e discernimento, tutte le capacità di relazione di cui siamo dotati, al momento in cui stiamo vivendo quell’esperienza. La maturità e l’equilibrio delle personalità rispettive dei due partner è cruciale in tal senso.
Affinché il rapporto, che nasce apparentemente senza regole, si incanali in un registro a due fatto di accettazione, parità, reciprocità e simmetria, dobbiamo essere capaci di “coltivare” il neonato sentimento, facendolo sviluppare solido e rigoglioso sul “terreno” giusto.
Parità, simmetria e reciprocità significano che il rapporto deve permettere ad entrambi i partner di camminare fianco a fianco, senza sbilanciamenti, senza che uno dei due traini tutta l’esperienza anche per l’altro, illudendosi che la luna di miele duri in eterno.
Alla prima crisi (che in genere interviene proprio quando uno dei due si ritrae un po’, sentendosi soffocare dall’abbraccio simbiotico dell’innamoramento), c’è la resa dei conti.
Se il rapporto è nato e si è sviluppato asimmetricamente, se non c’è parità, quello che ha dato di più, “pretende” un risarcimento, chiede di essere ricambiato, chiede di essere riamato. Ma trova l’altro arroccato sulla sua posizione privilegiata di essere amato senza dover ricambiare.
“Un rapporto fondato nell’amore è quello in cui l’uno permette all’altro di essere ciò che vuole, senza attendersi né pretendere nulla; è la solidarietà di due persone che a tal punto si amano, che mai e poi mai l’una vorrebbe che l’altra fosse ciò che spontaneamente non sceglierebbe di essere” (W.W. Dyer).

Al di là della fase dell’innamoramento, in cui i due partner vivono una sorta di “delirio a due”, con l’illusione di reciproca perfezione, passata la luna di miele, ciascun componente si riprende la propria individualità e la difende strenuamente dal tentativo di “fusione simbiotica” con l’altro partner.
Da quel momento, si innesca una “lotta mortale fra i sessi” (Nietzsche), in cui ognuno cerca di trasformare l’altro, secondo i propri bisogni. La possibilità di sopravvivenza della coppia si fonda sulla capacità di entrambi i partner di modulare la distanza fra i momenti simbiotico-fusionali e le esigenze di autonomia personale di entrambi. Se prevale il bisogno di uno dei due partner di “piegare” l’altro secondo le proprie aspettative, la coppia rischia seriamente la rottura.
Solo la capacità di entrambi i componenti della coppia di “stare in piedi da soli” consente di tollerare le differenze caratteriali presenti nella coppia, non vedendole come minaccia, ma come arricchimento reciproco e simmetrico.
La trasformazione dall’innamoramento all’amore maturo implica il superamento della dipendenza impellente dai bisogni, verso la costruzione di una relazione fondata sul desiderio.
Stare insieme non come “necessità”, ma come “lusso”.

Dal narcisismo all’amore dell’altro

Il bisogno di essere amati è connaturato all’essere umano, è sia biologico, sia psicologico.
Nell’infanzia, più o meno appropriatamente, veniamo amati dai genitori e questo ci conferma la nostra propensione a “dover” essere amati. Ma da adulti questo diritto non ci è riconosciuto, non ci è dovuto. Nessuno “deve” amare un altro, l’amore o c’è o non c’è, non si deve chiedere mai, tanto meno “pretendere”.
E invece, quanto più il bisogno infantile è stato deluso o frustato, tanto più diventiamo adulti che pretendono di essere amati, di essere ammirati, di essere al centro del mondo (da qui il deficit primario delle personalità narcisistiche). Se teniamo conto che nessuno è così fortunato da aver vissuto una infanzia così “perfetta e meravigliosa” (peraltro nemmeno auspicabile rispetto a quello che Winnicott auspicava invece come esperienza “sufficientemente adeguata”), tutti siamo potenzialmente portatori di “vuoti affettivi e bisogni compensatori”, più o meno significativi rispetto alle nostre relazioni d’amore; in questo senso la nostra personalità, figurativamente, assomiglia più al formaggio emmenthal, con i sui tipici e caratterisitici buchi, che non al groviera, col quale invece viene spesso confuso.
Questo bisogno, questo “difetto fondamentale”, vissuto come un “buco nello stomaco”, non può più essere colmato “ora per allora”, ormai è costitutivo delle nostre vicissitudini emotivo-affettive e, soprattutto, nessuno è tenuto a risarcirci per quello che non abbiamo avuto in precedenza.
Se io mi innamoro di una persona, l’accetto per quella che è, certo anche con i suoi difetti e le sue fragilità, i vuoti interiori, ma non mi spetta ripagarla dei debiti contratti con altri (originariamente i genitori). Posso amarla intensamente qui ed ora e questo dovrebbe bastare.

Ma chi ci potrà allora ripagare dei bisogni inappagati che ci portiamo dentro? Nessun’altro che noi stessi. Perché se non impariamo, con empatia e compassione verso noi stessi, se non siamo disposti ad amarci noi per primi, come possiamo pensare di essere amati da un altro? Se non ho un minimo di autostima, chi mai dovrebbe amarmi? Qualcuno mi ama forse avendo capito che non “valgo nulla”? Perché mai dovrebbe farlo?
Imparo dunque ad amarmi, mi concepisco come un mela intera, che non cerca nessuna metà per completarsi. Non dipendo ossessivamente da nessun altro che deve colmare il mio vuoto, divenuto più tollerabile.
La capacità di stare da soli (in compagnia di sé stessi) è la base vera della capacità d’amare.
Perché l’amore dell’altro non è più necessario come un bisogno vitale, una dipendenza, una mancanza penosa, ma un sentimento che ci arricchisce e ci riempie reciprocamente di valore.
Ecco perché quando si ama una persona, viene spontaneo chiamarla “tesoro”!
Il mio impulso infantile d’amore si è trasformato in desiderio di complementarità. Da bisogno infantile si è evoluto in desiderio adulto. Riconoscendo pari dignità all’altro, sono propenso ad amare io per primo, a mostrare il mio interesse, senza remore, né aspettative salvifiche.

Amare ed essere amati

“La pretesa di essere amati è la più grande delle presunzioni” (F. Nietzsche).

L’amore è una componente essenziale della vita, forse la principale in assoluto. La sua specificità nell’essere umano si esprime nel bisogno di essere amati. Nessun cucciolo d’uomo sopravvive in assenza dell’amore materno. È un fatto contemporaneamente biologico, psicologico e spirituale.
La relazione primaria con la madre, simbiotica nel primo anno, è più duratura di quella di ogni altra specie animale e porta progressivamente ad un rapporto funzionale con il mondo esterno.
Un deficit d’amore in questa relazione, dovuto ad una “holding di accudimento” significativamente disturbata e persistente, arreca un danno difficilmente riparabile: il bambino cercherà in altri modi e in altri rapporti di colmare questo vuoto, spesso inutilmente.
Quando questo avviene, si crea un “difetto fondamentale” (Balint) che porterà quasi certamente ad un disturbo narcisistico, con l’incapacità di dare amore per la prevalenza del bisogno costante di colmare il vuoto originario.
Se invece la relazione precoce con la madre è “sufficientemente adeguata” (secondo Winnicott un eccesso di maternage, il bisogno ansioso della madre di colmare il bambino di un amore perfetto, è addirittura dannoso), porta il bambino a ricambiare l’amore della madre, in una esperienza fusionale (reale e simbolica), che sarà alla base della nostra capacità adulta di amare.
Il bambino appagato ritrova la gioia della antica relazione ogni volta che ama ed è ricambiato.
Da adulto, divenuto persona, è capace di stare in una relazione d’amore in grado di accogliere e di dare in modo reciproco, simmetrico e paritario. È questa l’esperienza dell’amore maturo, in cui i bisogni primari diventano desideri generativi (non necessariamente procreativi), anche attraverso l’espressione di una sessualità emancipata dalla mera pulsione biologica.

La paura d’amare

Eppure, come è esperienza comune, l’amore in genere si accompagna alla paura.
“Cos’è l’amore?”, chiese l’allievo al Maestro.
“L’assenza totale di paura”, rispose il Maestro.
“E cos’è che temiamo?”
“L’amore”, disse il Maestro.
Il contrario dell’amore non è l’odio ma la paura; per amare bisogna superare la paura, ma poi specularmente l’amore aiuta ad affrontare le paure.
In genere, chi ha paura d’amare (ed entro certi limiti, un po’ tutti, chi più chi meno) ha le sue buone ragioni. I più hanno avuto delusioni, hanno preso grosse capocciate o, peggio, cattiverie, tradimenti da parte di partner, genitori, parenti, amici.
Dopo un incidente di percorso, è normale che si possa avere un po’ di paura a riprendere il viaggio.
Ma nella totale o generalizzata mancanza di fiducia nell’amore, c’è comunemente insita anche un’altra paura, ancora più sottile e che viene da lontano: è la paura di “perdere l’amore”.
Molti si ostinano a difendersi dal coinvolgimento, dal lasciarsi andare, (falling in love, cadere in amore, come si usa dire nella lingua anglosassone), non solo perché delusi, ma perché temono soprattutto l’eventualità di non saper tollerare il dolore della perdita.
Sostanzialmente, se dopo qualche remota disillusione, dopo le mie resistenze, mi lascio finalmente coinvolgere, abbandono le mie difese, cosa succederà di me se dopo perdessi quell’amore?
In pratica la sfiducia non è solo verso l’altro, ma soprattutto verso se stessi.
È come se dentro di noi albergasse una convinzione difensiva, arroccata ad un pensiero inconscio che ci dice più o meno così: “ho un tale bisogno di essere amato, che mi fa paura; più è impellente più temo di non poterne fare a meno; non credo di potercela fare, non credo che potrei avere la forza sufficiente a tollerare e superare il dolore di una (nuova) perdita. Perciò è meglio negare tutto e non impelagarsi in un nuovo rapporto”.
Da qui la decisione (apparentemente libera e volontaria) di rimanere da soli. In realtà una scelta obbligata dalla paura. Per questo, quando incontri qualcuno che squarcia il velo di questa resistenza, e che ti fa provare la paura di amare, quel qualcuno è forse venuto nella tua vita per farti superare finalmente la tua paura. È forse il caso che tu lo faccia entrare. Amalo e lasciati amare. Amare è l’essere amati per quello che si È, non per quello che si HA, oppure per quello che si DA.
È questo l’ ”Amore in sé”. Un amore puro svincolato dal possesso e dal merito. Un amore che nessun denaro può comprare. Un amore che si è esprime anche nel corpo e con il corpo, ma che il sesso non garantisce affatto. Un amore che ti libera finalmente dalla paura di deludere l’altro e di perderlo. Una esperienza che esprime tutte le nostre potenzialità umane e che non è solo un mezzo per essere felici ma un fine in sé.

Amore e mal d’amore

“E da allora sono perché tu sei,
e da allora sei, sono e siamo,
e per amore sarò, sarai, saremo.”
(P. Neruda)

Al di là delle sue iridescenti manifestazioni, l’anima dell’amore sembra rintracciabile nel desiderio profondo di ricomporre l’unità perduta con la nascita. La frattura originaria (la separazione dal grembo materno) svanisce nell’incantesimo della congiunzione con la persona amata.
Il segreto del piacere, dell’estasi dell’incontro erotico, si annida nel senso di completezza che procura l’incontro uomo-donna, come nessun’altra esperienza della vita.
Ma questo “divino” senso della ricomposizione, cui alludeva anche Platone, presto o tardi si rivela illusorio. L’idea che due metà formino un intero per il fatto di mettersi insieme non regge. Due mezze mele riunite dopo un po’ marciscono. Due zoppi insieme continuano a zoppicare. Eppure, la concezione comune sui rapporti amorosi trascura questo problema.
L’amore viene concepito come un fenomeno avente una sua forza incantatrice e una sua logica indipendente dai bisogni, dal carattere, dalle personalità di coloro che sono trafitti dalle frecce del dio bendato.
Un corretto ragionamento intorno all’Eros (innamoramento) e alle sue vicissitudini (amore) deve invece tenere insieme le ragioni profonde dell’amore da una parte (che hanno fondamento nelle radici biologiche dello sviluppo umano), con le strutture psichiche degli amanti dall’altra. Le fortune o le sfortune dei rapporti di coppia non dipendono dai casuali strali del celeste Cupido, dal gioco a dadi di un bizzoso essere alato. Sono legate invece al grado di maturità a cui i due partner sono pervenuti nei loro percorsi di vita.
Ci sono tre gradi nell’evoluzione di un sano rapporto con la persona amata:
– temere inizialmente che vi sia anche una minima differenza;
– accettare poi come inevitabili le diversità personali, con l’angoscia però di scoprire una totale incompatibilità;
– rassicurati da profonde somiglianze, poter godere finalmente delle differenze.

La condizione di un legame sano e duraturo, fra un uomo e una donna come persone, è che l’accoppiamento non sia fra due partner incompleti, mancanti, immaturi, ma fra due esseri “interi”, che hanno risolto autonomamente i bisogni originari e che quindi siano capaci di stare nella coppia, senza il bisogno infantile di aggrapparsi l’uno all’altro. Due persone che sanno stare in piedi da sole e che decidono di stare insieme per il desiderio di fondersi ma non confondersi, conservando rispettivamente la propria identità, in un rapporto che è di parità, di simmetria e di reciprocità.
Piacersi dunque non basta, è dato per scontato. Bisogna piuttosto “avere disturbi mentali compatibili”, nel senso di aver saputo affrontare personalmente il conflitto fra egoismo e altruismo, fra narcisismo malato e narcisismo maturo (amore di sé). Occorre superare le illusioni tipiche della fase dell’innamoramento, che a noi sembrano tanto meravigliose e naturali.
Questo comporta il riconoscimento della propria intransigente “volontà di potenza” e la conseguente rinuncia delle pretese narcisistiche infantili (“essere amato a tutti i costi!”).
E ciò implica la capacità di affrontare le paure personali di “perdersi nell’altro”, e le proprie spinte conflittuali, dopo aver esaminato i rispettivi difetti caratteriali ed essersi assunti reciprocamente la responsabilità di saperli contenere e rendere relazionali.
Non devi trovare dunque qualcuno che la pensi esattamente come te. Ma qualcuno che ha voglia di vivere una vita simile alla tua. Qualcuno che è “sano” e “folle” esattamente come te. Qualcuno che ha emozioni, sentimenti, pensieri compatibili con i tuoi. Solo così è possibile pervenire ad una relazione d’amore fra due persone fatta di rispetto, accettazione e comprensione profonda della soggettività e dell’individualità di ciascuno.
“Siamo tutti un pò strani e anche la vita è un pò strana e quando troviamo qualcuno la cui stranezza è compatibile con la nostra, ci uniamo a loro cadendo in una reciproca stranezza che chiamiamo amore” (R. Fulghum).

Amore di sé e amore dell’altro, narcisismo e amore, non più antitetici ma complementari. Dall’aut-aut all’et-et. Questo non è un mero ideale, è una prospettiva.
È il modello della Persona e del rapporto persona-persona, così come concepito dallo psicoanalista Davide Lopez, di cui mi onoro di essere fedele allievo.
(rif. “Rimedi per il mal d’amore” di A. Todisco)

L’amore maturo

In una relazione d’amore matura vale la regola che “chi dei due ama di più deve star fermo”, deve cioè dare il tempo all’altro di provare i suoi sentimenti ed essere pronto a ricambiare, passo dopo passo, un gradino alla volta, in una scalata lenta, graduale e contestuale che porta alla cima del ritorno al “giardino dell’Eden”.
Per questo amo per primo, ma aspetto che l’altro sia disposto a camminare insieme a me, per un altro tratto della mia e della sua vita, che diventa così magicamente la “nostra” vita.
L’esperienza del NOI è l’elemento fondamentale dell’amore maturo, dove i due membri della coppia amorosa (Io e Tu), conservano la rispettiva identità, dopo l’iniziale annullamento (fusione) nell’innamoramento. Io scelgo l’altro non per un bisogno vitale, ma per un arricchimento complementare. Non ne dipendo drammaticamente al punto di considerare “mortale” la separazione dal partner, ma desidero ugualmente legarmi all’altro, con convinzione e consapevolezza.
L’amore maturo diventa così una gioiosa e paradossale “libera schiavitù reciproca”. Implica l’acquisizione di una raffinata “arte della coltivazione”, in cui è essenziale la capacità di tenere viva la “tensione relazionale” fra i due partner, sapendo modulare l’interesse, la condivisione e l’autonomia personale in un’abile, reciproco e simmetrico “pathos della distanza”, che è l’evoluzione benigna dell’iniziale innamoramento immaturo.
Solo in tal modo un rapporto di coppia duraturo mantiene viva la passione, evitando la disillusione e l’inevitabile declino in quello stato di “coppia istituzionale” che è comunemente designato come la tomba dell’amore.

Per un concreto riferimento all’amore maturo rimando al bellissimo testo di un brano di Giorgio Gaber, “Quando sarò capace di amare”.
Il Teatro-canzone è il vero registro che ha reso grande Gaber come artista, completamente diverso dalla sua prima parte di carriera che l’aveva reso popolare con una serie di canzonette orecchiabili. Per me Gaber, specie per la profondità della sua riflessione sul rapporto uomo-donna, è stato uno dei più grandi pensatori dei nostri tempi, secondo forse solo a Nietzsche. In analisi, una sola citazione di Gaber accorcia la terapia di un po’ di mesi …
“Quando sarò capace di amare” descrive magistralmente la processualità insita nella relazione d’amore, con ciò intendendo che la capacità d’amare è una attitudine relazionale tutta da conseguire e da perseguire in prospettiva. La questione riguarda il modo di concepire la maturità, come capacità dell’uomo (e della donna) di accedere all’amore reciproco, finalmente liberati dagli stereotipi sociali, per costruire una relazione fatta di accettazione profonda, simmetria, parità e reciprocità. Una relazione in cui prevalga e viva il desiderio, non il bisogno.
E come si esprime nella quotidianità questo amore concreto? Quanto più vedo semplicità, stima, rispettosità e pudore, tanto più mi convinco che si tratta di amore reale, non parlato né scritto, ma praticato. È un ideale? Certo, ma l’ideale è appunto quel senso di prospettiva che dovrebbe guidare sempre il nostro modo di vivere ed agire. Una meta maturativa verso cui tendere sempre, senza mai abbandonare la rotta. Il contrario della grigia quotidianità rassegnata di una coppia in pantofole, in cui si è spento qualunque pathos relazionale.

L’Amore è la chiave che avvia il mondo, il desiderio è il motore. Essere capaci di amare, in modo autentico e profondo (dove non prevalga l’amore per sé ma l’amore paritario e reciproco) significa mettersi in sintonia con lo scopo primario del nostro essere al mondo.
Ma è possibile tutto ciò? È difficile ma possibile, una possibilità che non si conquista una volta per tutte. È possibile, facendo della vita autentica esperienza, continuando ad apprendere dalle cose (belle o brutte) che ci accadono, accettandole tutte ed elaborandole opportunamente. Divenendo cioè sempre più consapevoli del nostro Essere al Mondo. È possibile se ci liberiamo delle zavorre del passato, che ci fanno spesso essere bisognosi, piagnucolosi, pessimisti ed egoisti, smettendo dunque di cercare l’amore come impossibile riparazione di qualcosa che non può essere riparato o risarcito, andando oltre il semplice “bisogno di essere amati”, che è naturale e universale, per trasformarlo in desiderio. Amando noi per primi esattamente come vorremmo essere amati.
L’Amore è quindi un “assetto mentale”, uno stato emotivo-affettivo, che ci fa transitare tutte le relazioni che incrociamo nel nostro cammino.
E chissà mai che, prima o poi, non incontriamo sulla stessa strada una persona che guarda la vita con la nostra medesima prospettiva.

E infine l’amore

“L’Amore è una forza spirituale, una spinta inesauribile alla perenne ricerca di un corpo in cui materializzarsi e realizzarsi”.

Amare significa rispetto e reciprocità e si traduce in un unico principio: dai quello che vorresti ricevere e non comportarti come non vorresti che l’altro si comportasse con te.
Amore di sé e amore dell’altro non sono opposti ma complementari.

“Se mi è possibile ridere con te,
di me, di te e per te,
allora mi è impossibile non amarti.
Offrimi il tuo miglior sorriso,
e ti riserverò la mia complicità,
la mia fiducia, la mia fedeltà,
la mia integrità, il mio rispetto,
la mia comprensione, il mio sostegno,
il mio impegno, il mio entusiasmo,
la mia gioia, la mia magia,
il mio incantesimo, la mia passione,
il mio coraggio, il mio spirito.
Ti inviterò al cospetto dell’anima mia,
che è al confine con la tua,
e ci riveleremo insieme il mistero
e le meraviglie là tenute nascoste.”

Roberto Calia
(dal web, riel. personale).

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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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