Umano, troppo trans-umano
“Ma non sarà che a questo mondo ci sono sempre più individui, e sempre meno persone?!…”
(Mafalda by Quino)
Viviamo un momento storico-sociale di grande decadenza morale e culturale, un generale disfacimento della struttura collettiva dell’intera umanità. Una crisi non di passaggio ma “permanente”, inarrestabile e soprattutto senza prospettiva, della sovrastruttura sociale ai rispettivi livelli: dell’interazione sociale, delle relazioni, delle dinamiche economiche, delle istituzioni politiche, della Cultura in generale.
È in discussione l’intero paradigma antropologico su sui si è fondato lo sviluppo della civiltà umana, così come finora l’abbiamo conosciuta.
Il tutto ammantato da una ipertrofica espansione della tecnologia, che pretende di sostituirsi alla morale, all’etica e persino al diritto. Una apparente conoscenza illimitata che cerca di annullare secoli di tradizioni, di saperi consolidati e di saggezza profonda.
Epoca di passioni tristi (M. Benasayag) è stata definita, dove predominano la paura, la tristezza e la rabbia, dietro un’apparente facciata edonistica che, in realtà, altro non è che ricerca spasmodica di piaceri, di accumulo, di potere e di incessanti stimoli eccitatori: il godimento eretto a feticcio di massa in cui ciascuno specchia il proprio narcisismo vuoto.
La politica appiattita all’economia, la sovranità popolare annullata dallo strapotere della grande finanza mondiale, l’etica sostituita dal diritto (per cui: “se una legge espressamente non lo vieta, si può fare qualsiasi cosa! …”), l’interesse sociale soppiantato dall’opportunismo individuale, dalla prassi dell’“ognuno persegue i propri interessi individuali e… pazienza se questo significa contrastare gli interessi e i bisogni dell’altro”.
È l’apoteosi del nichilismo, dove l’angoscia del Nulla, il vuoto di un Io-minimo e il senso persistente di inutilità e inadeguatezza si contrastano con l’illusione dell’accaparramento senza limiti, dell’ipertrofia narcisistica di sé; insomma è il trionfo della quantità sulla qualità, della volontà di potenza sulla potenza della volontà, della eccitazione dell’Avere sulla consapevolezza dell’Essere.
Una nuova coscienza
Uno scenario non molto dissimile da ciò che, già prima del nuovo millennio, descriveva Gaber in una delle sue tante geniali interpretazioni: “Una nuova coscienza” (1996). (*)
“È come se dovessimo riempire un vuoto profondo, colmare la mancanza di una nuova coscienza sociale. Viviamo un malessere che ci prende pian piano, siamo vivi, malgrado la nostra apparenza, siamo fermi, malgrado la grave emergenza, come uomini al minimo storico di coscienza”.
Gaber traccia un manifesto politico-sociale drammaticamente attuale. Io preconizzo l’idea di una Politica che veda al centro la Persona, come il vero soggetto e non l’oggetto degli interventi pubblici; cittadino, non suddito.
Una visione ideale in cui il Principe (chi gestisce il Potere), divenuto finalmente Persona, assume su di sé il compito collettivo di realizzare l’Utopia.
“E pensare che basterebbe pochissimo. Basterebbe lasciare fuori tutto il conformismo di cui è permeata la nostra esistenza. Dubitare delle nostre risposte già pronte. Dubitare delle nostre convinzioni presuntuose e saccenti.
Basterebbe smettere di sentirsi vittime delle madri, dei padri, dei figli.
Basterebbe smetterla di piagnucolare, criticare, fare il tifo e leggere i giornali. Rendersi conto che anche l’uomo più mediocre può diventare geniale se guarda il mondo con i suoi occhi.”
La prospettiva di un vero rinnovamento sociale, un “nuovo Rinascimento”, non può essere fondata sull’individualismo, sulla finanza e sull’economia neoliberista (l’economia virtuale che ha soppiantato il vecchio capitalismo, quella delle élite oligarchiche, dei pochi che dominano l’intero mondo), ma sul ritorno ad un “Umanesimo nuovo”, un rinnovato ritorno alla Persona, che non coincide affatto con l’individuo globalizzato di un cosmopolitismo universale, senza identità personali, culturali e sociali.
” … Smettere di credere che l’unico obiettivo sia il miglioramento delle nostre condizioni economiche, perché la vera posta in gioco è la nostra vita. Smettere di sentirsi vittime del denaro, del lavoro, del destino e persino del potere, perché anche i cattivi governi sono la conseguenza naturale della stupidità degli uomini.
La Persona è il vero Soggetto della Politica, non il suo Oggetto. Questo individuo trapassato è esattamente il superamento dell’individuo frammentato e indifferenziato, un uomo residuale, che è quello professato dal Pensiero unico e dalla Religione unica. Il nuovo “governo globale” pretende ora di volere un mondo green ma virtuale, una realtà sociale in cui le relazioni si fondano più sull’assenza, il distanziamento e l’isolamento, piuttosto che sulla presenza, sull’intimità e sulla condivisione; un umanesimo di maniera che tanto umano non è e che di fatto è la strada obbligata verso il trans-umano, ossia la costruzione di una antropologia altra, dove non c’è più spazio per le Identità, il pensiero critico, per le differenze (i sessi, i generi, le tradizioni, le culture, le religioni, le visioni e le politiche).
“Basterebbe abbandonare il nostro smisurato bisogno di affermazione, abbandonare anche il nostro appassionato pessimismo e trovare finalmente l’audacia di frequentare il futuro con gioia.
Subito. Qui e ora.”
Un mondo di Persone è un insieme di Comunità (cum munis), intese letteralmente come “luogo comune”, “dovere comune”, “valore comune”.
Il mondo futuro non dovrebbe essere un agglomerato globalizzato ed uniformato ad un unico governo, un’unica religione, un “pensiero unico”, ma un insieme organizzato di comunità locali, fatte da persone, che incarnano valori morali ed etici condivisi e che fondano il proprio “essere al mondo” sul bisogno di ridare senso all’esistenza.
Un mondo che possa ritrovare la gioia delle relazioni fra le persone e che abbandoni l’illusione feticistica del possesso di beni, oggetti, false sicurezze materiali.
Utopia? Certamente, ma nel suo significato letterale:
“L’utopia non designa ciò che è impossibile da realizzare, ma la distanza e le difficoltà che si frappongono alla sua realizzazione” (rif. H. Marcuse).
L’Utopia non è dunque l’ideale di un mondo che non può esistere, ma solo la “misura” dei limiti e delle resistenze che si frappongono alla concreta costruzione, alla prospettiva di una Società umana che metta finalmente al centro le Persone e non gli interessi economici, il Benessere di tutti e non lo sfruttamento delle risorse, della Natura e degli Individui.
“… la vita non muore per le paure inventate come pretesti per non affrontare le difficoltà. La vita muore soprattutto per la mancanza di una profonda consapevolezza della realtà, che è la sola ragione della fine di qualsiasi civiltà” (G. Gaber).
È la prospettiva, dunque, di un Umanesimo “nuovo”, un autentico ritorno all’Umano, non un “Nuovo umanesimo” come professa certa politica (e certa religione…) del giorno d’oggi, che di fatto è solo il preludio per la soppressione dell’umano e per l’instaurazione del trans-umano. No, grazie.
Io continuo a preferire Gaber.
________________
(*) Qui il brano completo “Una nuova coscienza” di Gaber-Luporini (Gaber, 1996/97 da “Un’idiozia conquistata a fatica”, 1998) Gaber – Una nuova coscienza
OTT
Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano