L’impossibile

Il possibile e l’impossibile

“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.”
(S. Francesco d’Assisi)

Di fronte alla drammatica situazione sociale della nostra società proliferano le diagnosi. Da più parti si denunciano le ingiustizie, i fatti, le circostanze, le logiche perverse che ne stanno alla base. Ma la diagnosi non basta. Non basta un bravo radiologo ad evidenziare una malattia, leggendola fra le ombre indecifrabili.
La terapia è altra cosa. Occorre la mano decisa di un medico consapevole per recidere alla radice il male. E occorre che anche il malato partecipi attivamente alla cura.
Per intervenire nella crisi attuale occorre lanciare una sfida al cuore del nostro tempo, bisogna andare oltre le paure e le false sicurezze, messe in atto come illusorie difese. È necessario lasciare le nostre “zone di confort” e provare a misurarsi con l’impossibile.

L’impossibile non è ciò che non può essere realizzato. È ciò che la realtà dominante semplicemente esclude, perché rappresenta una minaccia. Contempla una trasformazione radicale del presente. L’impossibile è il punto di rottura di una situazione che non si può più sostenere.
I tempi sembrano richiedere proprio questo, reclamano una disponibilità, una “fede”, in ciò che non appartiene all’orizzonte dello scenario presente. È necessario saper tradurre i pensieri in azioni, per creare una netta discontinuità con il passato.
Ma abbiamo ancora la capacità, la volontà e il coraggio di costruire un nuovo paradigma sociale? Oggi, non domani! Oppure preferiamo limitarci “a fare tutto il possibile”, per poi rifugiarsi nella lamentosità e nel vittimismo tipici del nostro tempo?
L’alternativa è quella di rassegnarsi ad ascoltare, aspettando ancora e continuando intanto ad obbedire alle voci dominanti, alle soluzioni che presunti esperti prospettano come le uniche “possibili”, realistiche, ragionevoli.
Peccato! Per chissà quanto tempo ancora saremo disposti a lasciare agli altri decidere per noi, per le nostre vite, per una realtà che ormai non ci appartiene più!
“Senza speranza è impossibile trovare l’insperato”. (Eraclito)

Oltre il possibile

“Della stessa natura dei fulmini sono i miracoli. Non vengono da soli, ma per attrazione verso un punto che pulsa, che sta chiamando. Un’energia si precipita sui centimetri di un corpo e lo va a salvare. I miracoli sono frequenti, ordinari. Reggono continuamente la vita e quando quella smette è perché ha smesso di spedire una carica pilota che faccia da guida al miracolo. Si muore quando non si chiede più.” (E. De Luca)

L’impossibile non è dunque ciò che “non è possibile” da realizzare. Quando diciamo “è impossibile”, stiamo di fatto esprimendo le resistenze che inconsapevolmente mettiamo fra ciò che (apparentemente) desideriamo e ciò che (realmente) pensiamo di poter raggiungere.
Come un mantra, l’affermazione “è impossibile” rende reali le nostre ansie e le incertezze interiori, trasformandole in paure e ostacoli “oggettivi”, che ci appaiono così insormontabili. Pensando “è impossibile”, non è vero poi che faremo “tutto il possibile” per realizzare ciò che (non) crediamo che possa verificarsi, perché stiamo dando per scontato in partenza il risultato (negativo).
Se pensi sempre in negativo, come (e perché soprattutto) potrebbe arrivarti qualcosa di positivo? Ecco perché non accadono i “miracoli”! La gente non crede ai miracoli, poi però si aspetta grandi cose dagli altri. Pur senza ammetterlo, si aspetta che, magicamente, gli arrivi dall’esterno qualcosa che cambi “miracolosamente” la propria vita.
Di fatto però non ci crede, non ha fede (non necessariamente in senso religioso), manca di fiducia e di un vero affidamento al fluire della Vita.
Credere non è solo un fatto religioso (l’adesione ad una fede e ad una dottrina istituita) ma un fatto spirituale. In senso laico, si esprime nella piena fiducia verso la vita, qualcosa di profondo, che ha a che fare con una visione positiva e la gratitudine verso la vita stessa.
Ho i miei dubbi che il materialismo nichilista imperante dei giorni nostri abbia questa fiducia e questo senso positivo della vita. Predomina il credo nel Nulla e questo porta inevitabilmente ad un approccio predatorio e opportunistico verso l’esperienza terrena: tutti cercano di arraffare egoisticamente il più possibile, con la convinzione disperata e disperante che tanto poi il destino è quello di “sparire” nel Nulla da cui saremmo venuti.
Io non credo affatto che noi siamo nulla, veniamo dal nulla e, morendo, saremo inghiottiti nel nulla. Ogni cosa (ente), in quanto “essente” è eterna, non può divenire “niente”, per il principio di non contraddizione, accettato dalla logica aristotelica (E. Severino).
Anthony de Mello raccontava la seguente storiella. Un uomo attraversò terre e mari per verificare personalmente la straordinaria fama di un Maestro, per interrogarlo sulla natura dei miracoli. Il Maestro rispose: “C’è miracolo e miracolo. Nel tuo paese è considerato un miracolo che Dio faccia la volontà di qualcuno. Nel nostro paese è considerato miracolo che qualcuno faccia la volontà di Dio”.
La mancanza di fiducia profonda e di affidamento al flusso della vita, impedisce di buttare il cuore oltre l’ostacolo.
“Il vero miracolo non è volare in aria o camminare sulle acque, ma camminare sulla terra” (Lin-chi)

Lo stupore e la meraviglia

“Ovunque, mescolate alle particelle d’aria che respiriamo, ci sono particelle di meraviglia e di impossibile. E solo la destrezza di un mago riesce a catturarle” (F. Caramagna).

La meraviglia è la nostra disponibilità a mettere tra parentesi i nostri pregiudizi, i nostri preconcetti, le nostre idiosincrasie, per lasciare spazio alla nostra intuizione, per lasciarci guidare dalla curiosità di capire e di scoprire, di indagare e di svelare i piccoli e grandi segreti della realtà.
Lo stupore di fronte al microcosmo e al macrocosmo, la capacità di lasciarci sorprendere, di contemplare le meraviglie dell’Universo, di rimanere in ascolto delle sue voci, delle sue sinfonie, di lasciarci attraversare dal suo mistero, sono la misura della nostra intelligenza spirituale, la via maestra per pregustare l’insondabilità del mondo.
Chi non riesce più a stupirsi davanti alla magia della vita, all’incantesimo dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, agli insondabili meccanismi della quotidianità ed alle sue sorprendenti dinamiche, è come pietrificato, siderizzato.
Così, ghiacciato in una gabbia di stereotipi, di schemi e paradigmi che privano il suo sguardo della genuinità, infantile e gioiosa, rischia di perdere il gusto dell’autenticità, diventando cieco alla bellezza, sordo all’armonia, insensibile al mistero.

Secondo i testi di tecnica aeronautica, a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare, il calabrone non potrebbe volare.
Dal punto di vista oggettivo, razionale non sarebbe possibile alzarsi in volo. Ma il calabrone non lo sa. E perciò vola.
Per avere ciò che cerchi, per cercare ciò che vuoi, devi essere disposto a liberarti della convinzione che tu non possa averlo. È questa convinzione che limita in partenza le tue possibilità.
Se riesci a credere nell’invisibile, allora è possibile immaginare l’impossibile.
Le cose difficili qualche volta si possono fare anche subito. L’impossibile richiede forse un po’ più di tempo.
Ma chiunque ama continua a credere nell’impossibile.
“La gente spesso definisce impossibili cose che semplicemente non ha mai visto” (R. Williams).

Una storiella per adulti bambini

“Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla” (Lao Tzu).

C’era una volta un piccolo bruco che camminava verso una grande montagna.
Lungo la strada incontrò una coccinella che gli chiese “dove vai?”.
Il bruco rispose: “Ieri ho fatto un sogno nel quale mi trovavo sulla cima di una montagna e da lì potevo vedere tutta la valle. Oggi voglio realizzare il mio sogno”.
Stupita la coccinella gli disse: “Devi essere pazzo! Tu sei solo un piccolo bruco. Per te, un sassolino sarà una montagna, una pozzanghera sarà un mare e ogni cespuglio sarà una barriera impossibile da oltrepassare”.
Ma il piccolo bruco era già lontano e non la sentì. La stessa cosa accadde con la rana, la talpa e il topo. Tutti gli consigliarono di fermarsi, dicendo: “Non arriverai mai!”.
Ma il piccolo bruco, determinato e coraggioso, continuò a camminare. Stremato e senza forze, ad un tratto decise di fermarsi a riposare.
Con un ultimo sforzo si preparò un posto per dormire quella notte. “Così mi sentirò meglio” disse il piccolo bruco. Ma morì.

Per giorni, gli animali si avvicinarono a vedere i suoi resti. Lì c’era l’animale più pazzo del mondo, lì c’era l’ultimo rifugio di un piccolo bruco morto per aver inseguito un sogno.
All’improvviso però quel bocciolo grigiastro si ruppe. Comparvero due occhioni, due antenne e due bellissime ali dai colori stupendi. Era una farfalla!
Gli animali restarono senza parole, meravigliati da quella stupenda creatura che in un istante prese il volo e raggiunse la cima della montagna. Il sogno del bruco, diventato farfalla, si realizzò. Il sogno per il quale aveva vissuto, per il quale aveva lottato, era diventato realtà. (riel. fiaba popolare).

Per una riflessione sul cambiamento come trasformazione, rimando ad un altro mio contributo Trasformazione

Miracoli

“Il più grande dei miracoli è essere, semplicemente essere. Per sentirlo, non hai bisogno di essere né ricco, né colto, né famoso. Essere semplicemente! Il fatto che tu sei è il massimo tra i misteri. Perché sei? Perché esisti? Per nessun motivo: non l’hai guadagnato, non l’hai neppure chiesto! È semplicemente accaduto.” (Osho)

La gente non crede ai miracoli, poi però vorrebbe sempre “grandi cose” dagli altri.
Pur senza ammetterlo, si aspetta che, magicamente, gli arrivi dall’esterno qualcosa che cambi “miracolosamente” la propria vita. Di fatto però non ci crede, non ha fede (non necessariamente in senso religioso), manca di fiducia e di un vero affidamento al fluire della vita. Se pensi sempre in negativo, come (e perché soprattutto) potrebbe arrivarti qualcosa di positivo?
È vero, nessuno compie miracoli, né per sé, tanto meno riesce a compierli per gli altri.
Non aspettarti allora nulla neanche dagli altri. Ognuno deve cavarsela da sé, deve essere in grado di essere sufficientemente autonomo e indipendente. Se, magicamente, tutti fossero in grado di farlo, il mondo sarebbe migliore, da subito e per tutti.
È proprio vero quindi che il miracolo non è camminare sull’acqua o volare, il vero miracolo è imparare a stare in piedi e camminare sulla terra, così come rialzarsi dopo essere caduti.

Anthony de Mello raccontava la seguente storiella. Un uomo attraversò terre e mari per verificare personalmente la straordinaria fama di un Maestro, per interrogarlo sulla natura dei miracoli. Il Maestro rispose:
“C’è miracolo e miracolo. Nel tuo paese è considerato un miracolo che Dio faccia la volontà di qualcuno. Nel nostro paese è considerato miracolo che qualcuno faccia la volontà di Dio”.
Il miracolo è qui ed ora. Su questo mondo, nella situazione storica e sociale che stiamo vivendo e che non ci siamo scelti, ma semplicemente ci è stata data, senza condizioni, né istruzioni per l’uso.
L’alternativa è la rinuncia ad essere attori della propria esistenza ed accontentarsi di una particina da comparsa, decisa da altri registi e altri protagonisti.

Il limite all’impossibile

“Nessuno può risolvere i problemi per quelli il cui problema è che non vogliono che si risolvano i loro problemi” (R. Bach).

C’è però un limite alla possibilità, specie quando si tratta di aiutare, se stessi e soprattutto gli altri.
Innanzitutto ci vuole la “competenza” di chi si propone ad aiutare qualcuno.
Se non hai in te stesso la capacità che vorresti attivare nell’altro, è difficile che tu riesca ad essere credibile agli occhi di chi dovrebbe essere aiutato.
Prima di prodigare consigli, bisognerebbe chiedersi: “Ho fatto veramente esperienza della stessa difficoltà che sta affrontando la persona che voglio aiutare?”, “Sarei io per primo capace di fare quello che chiedo di fare all’altro?”.
Di grandi consigli è pieno il mondo. Se fosse così facile mettere in pratica tutte le belle parole che ci propongono, il mondo sarebbe un paradiso da subito.
E poi (cosa di cui poco si tiene conto) siamo proprio sicuri che l’altro vuole essere aiutato? Ce l’ha chiesto veramente?
Senza questo aspetto è difficile, per non dire impossibile, poter aiutare qualcuno, chiunque esso sia (parente, amico, paziente, ecc.).

Prendere coscienza di avere un problema, riconoscere che non siamo in grado di risolverlo e decidersi di chiedere aiuto, sono i primi passi necessari per innescare un cambiamento auspicato.
Eppure, in genere, facciamo fatica ad accettare che ci sono persone che non vogliono essere “salvate”.
Temiamo di identificarci con esse. Rifiutiamo l’idea che non possano essere aiutate (almeno nelle attuali condizioni, magari potranno cambiare in altre circostanze) o che siano “condannate” per sempre.
Lasciare invece queste persone al loro destino è l’estrema possibilità che gli viene data per poter decidere di fare qualcosa.
Di fronte al baratro, prima della caduta fatale, forse prenderanno coscienza della loro condizione e faranno qualcosa, a cominciare dall’ammettere di aver bisogno di aiuto.
“Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo” (Confucio).
È la precondizione (necessaria anche se non sufficiente) per l’inizio della risalita.

La scala della vita

“Lascio agli arrivisti le scale per il successo. Io preferisco le scale che finiscono nel nulla, che si perdono in soffitte o stanze vuote, ma quando sei sull’ultimo gradino, la vista sulla luna è magnifica” (F. Caramagna).

Usando in senso metaforico l’idea di una risalita, questi sono i passi essenziali di una simbolica “scala della vita”, che può portarci verso la “salvezza” (qualcosa di più della salute e del benessere).
Per evolvere dobbiamo liberarci dalle oppressioni che limitano la nostra esistenza. Ma non possiamo pretendere di farlo buttando dalla finestra, una volta per tutte, le nostre fragilità; le possiamo se mai sospingere giù dalle scale, un gradino alla volta, man mano che noi saliamo.
Richiamando la classica definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale la salute non è semplice “assenza di malattia”, ma uno stato di completo benessere fisico, psichico e spirituale, la vera guarigione può venire solo dopo aver spezzato le catene che ci tengono abbarbicati verso il basso, nella materialità della vita.
I problemi “reali” (disagi, malattie, difficoltà economiche o relazionali, ecc.) fungono da zavorre che ostacolano il percorso di sviluppo del Sé, deviandolo dal suo originario scopo di vita.

Ecco i sette scalini, da percorrere passo dopo passo, un gradino alla volta, per uno sviluppo personale che va oltre il corpo e la mente, per un riallineamento vitale delle quattro dimensioni costitutive dell’essere umano (fisica, psichica, mentale e spirituale), verso una ricomposizione della persona nella sua totalità, un individuo evoluto in pace con se stesso, con gli altri e con il mondo. Una vera e propria cura dell’anima, seguendo la via dell’amore e dell’affrancamento dalle dipendenze:
“La dipendenza affettiva è una costrizione che viene dal bisogno. È un’energia negativa che incatena. L’amore autentico è una scelta che viene dal desiderio. È una forza spirituale che libera” (R. Calia).
È quello che io, richiamando il pensiero di Davide Lopez, ho più volte definito il passaggio dall’individuo alla persona.(*)

1 – Conoscere le proprie PAURE ed imparare a padroneggiarle (il coraggio non è assenza di paura, ma la capacità di affrontare le cose, nonostante la paura).
2 – Affrontare il senso del VUOTO, la paura primaria della propria fragilità, che si accompagna ad un senso opprimente di mancanza d’amore e di “essere abbandonati”.
3 – Acquisire una sempre maggiore CONSAPEVOLEZZA DI SÉ, del significato che diamo a noi stessi, agli altri e alle cose della nostra vita.
4 – PERDONARE sé stessi e gli altri, superando ogni forma di risentimento e di rancore (non servono, non risolvono nulla, portano solo ad avvelenare chi li porta dentro); il perdono serve a liberare essenzialmente noi stessi, prescinde dal merito degli altri.
5 – Ritrovare il senso di gratuità, la gioia del servizio verso se stessi e gli altri, recuperando la GRATITUDINE verso la vita e tutto ciò che ci circonda.
6 – Dare il giusto posto all’AMORE, di sé stessi, degli altri, del mondo.
7 – Recuperare il personale senso della vita e lo scopo del proprio essere al mondo, riprendendo così  il cammino interrotto verso la propria compiutezza e la MISSIONE della propria esistenza.

Difficile tutto ciò? Sicuramente!
Impossibile? No, se percorriamo questo cammino con fiducia, speranza e perseveranza.
Dobbiamo sostanzialmente prenderci carico della nostra anima, affrontare le nostre paure e le debolezze, gestire i nostri difetti e le proprie inettitudini.
Bonificare se stessi individualmente per migliorare il mondo, piuttosto che il contrario.
Recuperando l’anima siamo tutti ininterrottamente in terapia (J. Hillman).
La terapia dell’anima personale rappresenta la sola vera possibilità per una Terapia del Mondo.
Non dobbiamo compiere nessun miracolo, ma solo ritrovare la strada per il benessere personale e per costruire un Mondo di Persone.

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(*) In sintesi questo è il percorso di evoluzione personale da me proposto: un percorso di formazione in gruppo di sette incontri, centrato sul lavoro su di sé, con la convinzione che  solo la consapevolezza è lo strumento essenziale per giungere ad una condizione esistenziale “sufficientemente adeguata” e matura.
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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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