
Le perle e i porci
“Non date le cose sacre ai cani e non gettate le perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi” (Gesù – Mt. 7,6)
La perla è il risultato dell’entrata nell’ostrica di una sostanza estranea (come un parassita o un granello di sabbia). Quando questo accade la conchiglia, che contiene al suo interno una sostanza brillante chiamata madreperla, inizia a ricoprire il granello con vari strati per proteggere il corpo indifeso dell’ostrica.
Si forma così la perla, che dunque è il prodotto di una difesa dal dolore, come la cicatrizzazione di una ferita.
“Una perla è un tempio costruito dalla sofferenza intorno a un granello di sabbia” (K. Gibran).
Il senso della frase di Gesù, rivolta ai discepoli (ed estensivamente a tutti) è chiaro e sempre attuale. È un monito a non disperdere parole, energie, impegni (le perle frutto delle nostre fatiche e della nostra dedizione) con le persone che non stanno ad ascoltarti e che non sono in grado (o non vogliono) comprendere.
Queste persone sono spesso ambivalenti, arroccate su se stesse, non aperte a nessun confronto; sovente covano invidia o risentimento; alla prima occasione ti attaccheranno anche, semplicemente perché preferiscono continuare a vedere le cose a modo loro, anche contro ogni evidenza.
Il punto non è sentirsi migliori o peggiori di nessun altro; non puoi pensare infatti di donare e amare gli altri e non puoi perdonare davvero, se ti poni su di un gradino superiore o se ti reputi migliore di un’altra persona: questo significa solo alimentare il proprio egocentrismo.
Il punto invece è avere piena consapevolezza sul nostro modo di porsi nelle relazioni, su ciò che diamo e su ciò che riceviamo, avendo pieno rispetto non solo degli altri ma anche di noi stessi.
Io non uso gli altri per le mie esigenze e i miei bisogni, ma per ciò stesso pretendo di non esssere a mia volta ri-usato.
Il monito di Gesù pone la distinzione fra Amore e Sacrificio. Ci esorta a essere consapevoli, a saper riconoscere il valore delle persone e delle situazioni, e di quello che autenticamente siamo in grado di donare agli altri.
Un equilibrio fra il dare e l’avere dovrebbe sempre esserci, proprio perché siamo tutti portatori dei medesimi bisogni di base e degli stessi diritti. Ma non sempre c’è questa reciprocità, perché c’è chi è più abituato a prendere e non è molto propenso a dare; e c’è chi invece è più propenso a dare, senza sosta. Ovvio che il “bilancio affettivo” può così risultare negativo, in rosso!
Invidia e gratitudine
“Mentre l’invidioso tende a vivere chiuso in se stesso e isolato dagli altri, chi interpreta come un dono i beni che gli altri hanno e, prima ancora, i beni che essi sono, può vivere contemplando attorno a sé un mondo infinito e meraviglioso” (C. Stercal).
Chi non è capace di essere grato, inventa mille scuse per giustificare il suo risentimento verso il mondo in generale o verso un bersaglio particolare; l’invidioso è del tutto incapace di ringraziare. L’invidia diventa così l’opposto della gratitudine.
Perché l’invidia possa diventare gratitudine bisogna uscire dalla logica competitiva, che si fonda sulla polarità contrapposta superiore/inferiore, grande/piccolo, forte/debole. Nessuno è mai superiore a nessun altro come essere umano in sé. E tantomeno inferiore.
Le differenze sono fatte sostanzialmente dai modi e dalle condizioni con cui decliniamo il nostro essere al mondo nella concreta quotidianità.
Che fare allora?
Continuare a dare, senza aspettarsi nulla, solo per il piacere di dare (è già “ricompensa” questa…). Ma anche aprire gli occhi e non continuare a dare indefinitamente “le perle ai porci”.
Amare non è buttarsi via (“rimango con te anche se mi fai del male, tanto io sono buono e perdono tutto … ”); sacrificio non è rinuncia (“non importa se non sei riconoscente, se non mi dai nulla, se sei interessato a me solo per ciò che io ti do, non perché anche tu sei interessato a me, tanto io sono sempre qui pronto e disponibile a sacrificarmi per te …”).
L’Amore è reciprocità, simmetria e parità; è condivisione (cum, insieme), nel senso di avere interesse al bene di tutte le parti e non di una sola!
Ad un livello più alto, Egoismo ed Altruismo si incontrano: quando l’interesse personale dell’uno coincide con il bene dell’altro. Reciprocamente, pariteticamente e simmetricamente.
Sacrificio significa letteralmente “rendere sacro”, ovvero trasmutare questo atto in qualcosa di più elevato e transpersonale (cioè oltre l’egoismo individuale).
Se dunque doniamo senza fine le nostre “perle ai porci” violiamo l’ordine naturale dell’amore, trasformiamo l’amore non in sacrificio ma in un “massacro masochistico”, sminuendo di fatto il senso vero del per-dono (cioè fare di sé stessi un dono). Alimentiamo così solo gli egoismi in gioco, impedendo ai “cani e ai “porci” di mostrarsi per ciò che effettivamente sono, e a noi di fare la nostra parte, cioè contribuire a differenziare ciò che è Bene da ciò che è Male, l’Amore dal suo contrario: la Paura, la chiusura, l’egoismo e l’indisponibilità verso l’altro.
Questo non significa che bisogna smettere di condividere la propria positività, di condividere la propria umanità.
Continua dunque a condividere la tua saggezza, la tua compassione; condividi il tuo essere amorevole, il tuo sapere essere gioioso, il tuo saperti “fare dono”. Condividi pure ciò che sei e ciò che puoi.
Se hai delle perle, spargile, non preoccuparti che vadano ai porci o ai santi, gettale, una, dieci, cento volte ma … dopo finalmente fermati e attendi!
Quando qualcuno arriva nella tua vita viene certamente per dare e ricevere qualcosa. Devi cercare di comprendere cosa. Ma soprattutto non entrare mai nella vita di qualcuno se non riesci ad essere tu un dono: tu per-dono!
L’importante è che tu abbia consapevolezza di quanta simmetria e reciprocità si crea nella relazione. Se non c’è reciprocità non ci può essere nemmeno parità. Quindi, in certe relazioni non puoi aspettarti nulla!
Se diamo indefinitamente le “perle ai porci” faremo loro credere che di perle nel mondo ve ne siano in abbondanza (una inflazione che toglie in fondo il vero valore all’amore stesso).
È quando non diamo più le “perle ai porci” che, nella mancanza, si accorgeranno (forse) di quello che avranno perduto e (forse) cercheranno finalmente di coltivarle anche loro! Solo così i “porci” possono diventare persone consapevoli e solo allora potrà esserci l’inizio della condivisione.
Impariamo allora a dire no all’ingratitudine, a coloro che non chiedono mai scusa, all’invidia, alla incapacità di “amare il prossimo come se stessi”.
L’ espressione “perle ai porci” diventa il mantra per non sprecare risorse emotive ed affettive con chi in fondo non se le merita.
Rispettare se stessi e dare il giusto valore all’altro: è questo il solo modo per creare relazioni autentiche. Non come semplici accozzi di atomi solipsistici che caratterizzano i mille “contatti” impersonali nel caos sociale dei nostri tempi.
“E la sera raccoglie ciò che il giorno spariglia. E a volte viene fuori una collana di perle, altre una corona di spine” (Esercizinvolo, da Twitter).
Sia come sia, nonostante le fatiche, le prove, i dispiaceri, i contrattempi, le cattiverie e le ingiustizie di ogni giorno, comunque c’è sempre qualcosa nella vita di ciascuno di noi per cui provare gratitudine. Qualcosa rispetto alla quale possiamo solo dire: GRAZIE!
Grazie è una parola che non usiamo mai abbastanza, una parola che possiede una grande potenzialità, una parola che illumina, che armonizza e che “guarisce”. Niente è più importante che sentire interiormente il senso di gratitudine, prima ancora di dirlo: “con tutto il mio cuore, con tutto il mio pensiero, con tutta la mia anima e con tutto il mio spirito, grazie!”
Grazie esprime un abbraccio, una vibrazione pura per ricambiare un dono che si è ricevuto. Grazie è una benedizione reciproca!
“Dire grazie non è solo una questione di buone maniere, è una questione di buona spiritualità” (A. Painter).
Non diamo quindi tutto per scontato, impariamo a godere di ciò che ci circonda. Di solito insegniamo ai bambini a dire “grazie” e poi tralasciamo di farlo noi!
La gratitudine è una energia vitale, una vibrazione sacra che propaga purezza in un mondo dominato dal negativo e dall’ostilità.
Abituandosi giorno dopo giorno a pronunciare interiormente la parola “grazie”, è come imparare ad usare uno strumento “magico” in grado di riassaporare le cose e, quindi, di trasformare il modo di vedere la realtà.
DIC
Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano