Paura e ansia: una distinzione
“Come terapeuta non tento mai di liberare i miei pazienti dalla paura (angst). Al contrario li conduco sino al motivo profondo che spiega come essa sia giustificata. Ho la certezza scientifica che il mio paziente non si è inventato la sua paura, ma che essa gli è stata imposta. Da chi o da che cosa? Dall’ignoto. Il religioso lo chiama Deus absconditus, il pensiero scientifico lo definisce inconscio.”
(C.G. Jung)
La paura è una reazione biologica primaria, non solo tipica degli esseri umani. È un meccanismo di difesa dell’uomo di fronte alle minacce alla propria integrità, sia fisica che psichica.
La paura è un riflesso naturale della vita, è inevitabile (e persino utile, entro certi limiti) e si accompagna a tutte le esperienze che attraversiamo.
Il vissuto della paura può diventare il peggior compagno dell’uomo, tant’è che la ritrova costantemente camuffata sotto diverse forme, come la vergogna, la gelosia, la collera, l’insolenza, l’arroganza. La punta più estrema è rappresentata dalla paura della morte.
Nel suo aspetto psicologico viene spesso sovrapposta (e confusa) con l’ansia, ma non sono la stessa cosa, pur manifestandosi con le medesime caratteristiche nel corpo e nella mente.
Ogni paura non è mai del tutto irrazionale.
“La nostra ansia, è la risultanza di antiche paure che sono entrate in noi fin dalla giovane età, quando il corpo inizia la sua formazione e il nostro spirito assume la sua identità” (R. Battaglia).
Le paure (e le ansie, che sono sostanzialmente paure senza un oggetto esterno reale) sono stati della mente che nella loro origine avevano un senso. L’ansia e la paura allora erano giustificate.
In origine (nell’infanzia, verosimilmente) sono state determinate, in modo congruo, quasi certamente a difesa di una qualche “minaccia” fisica, oggettiva, o psicologica, soggettiva.
Il problema è che nel tempo tale reazione si è stratificata, si è sovrapposta con ulteriori frammenti di emozioni, pensieri, credenze. Si è cronicizzata, diventando automatismo, modalità tipica di reazione di fronte ad eventi o situazioni che simbolicamente o inconsciamente evocano quell’antica esperienza.
Ha perso ormai la sua funzione originaria (che era egosintonica) ed è diventata una limitazione della nostra vita. È diventata cioè egodistonica, quasi estranea a noi, si è trasformata in minaccia essa stessa.
Non la riconosciamo più. Ormai abbiamo solo timore che ritorni. Per superarla e liberarcene dobbiamo prendere consapevolezza di tale “discrasia” temporale, rendersi sempre più conto che prima (da bambini) non avevamo le capacità per fronteggiare le difficoltà. Da adulti invece abbiamo altre risorse e altre modalità per affrontare quello che ci capita, anche le cose più terribili.
Se ci capacitiamo di ciò, impareremo che nessuna paura non è impossibile da attraversare.
Oltre la paura
“Cerchiamo di non guardare indietro con rabbia o in avanti con paura, ma intorno con consapevolezza” (J.G. Thurber)
Per liberarci della paura dobbiamo ricostruire a ritroso il suo percorso.
Con un profondo lavoro di introspezione, dobbiamo riappropriarcene come parte nostra, non più nemica ma amica. Fino a rassicurare e liberare il nostro “bambino interiore”, che è fermo atterrito su quella paura originaria.
Recuperandola fra i meandri del nostro passato, quella ragione dimenticata può finalmente essere affrontata e superata per sempre con le risorse attuali della nostra coscienza più libera e matura.
“Per scoprire come spingerti oltre i tuoi limiti, devi prima capire quali sono le paure che ti impediscono di farlo. Altrimenti resti fermo al punto di partenza, pieno di buoni propositi ma senza compiere alcuna azione” (V. Bilotta).
Un aspetto fondamentale distingue la paura dall’ansia; averne consapevolezza ci permette di gestire meglio le nostre reazioni di fronte ai pericoli (reali o immaginari che siano).
Quando la minaccia viene da un “oggetto” esterno possiamo parlare più propriamente di paura. Sono i problemi veri, piccoli e grandi, che ci attendono quotidianamente. Di fronte a questi ostacoli reali esistono sempre soluzioni o strategie operative per evitarli, superarli, o semplicemente per venirne a patti.
Queste sono le vere paure! Di fronte ad un leone, possente ed imperioso che ci si piazza davanti, non un’intangibile idea di pericolo, non puoi dire “c’ho l’ansia!” (e prendere un ansiolitico)…
Devi fare qualcosa, inventarti una soluzione concreta per “vendere cara la pelle”, per cercare di ammansirlo e salvarti. E poterci raccontare dopo com’è andata…
Quando invece la “minaccia” è interna, un fantasma evocato nella nostra mente, senza alcun reale pericolo esterno, si sviluppa l’ansia, che può crescere esponenzialmente, fino al limite del panico, oppure somatizzarsi sul piano fisico come angoscia.
Essendo scatenata da un “oggetto interno” (di cui possiamo essere più o meno coscienti), sembra più difficilmente sormontabile. Se di fronte al leone, posso tentare la fuga, cosa posso fare di fronte ad un “pericolo immaginario”, un “fantasma” che nemmeno conosco?
L’ansia è quindi una “paura senza oggetto”, un’esperienza propriamente soggettiva ed è affrontabile solo dalla persona stessa, agendo sulle sue risorse psichiche.
L’ansia è sostanzialmente lo scarto che si genera tra il modo in cui le cose sono e il modo in cui pensiamo che dovrebbero essere o vorremmo che fossero. È un gap che si colloca tra il reale e la rappresentazione mentale che ognuno di noi, soggettivamente, si fa della realtà esterna.
In pratica noi affrontiamo la realtà costruendoci una personale rappresentazione, una sorta di ideazione “irreale” a cui ci aggrappiamo nel tentativo di trasformare la realtà secondo i nostri bisogni e desideri. Essendo il desiderio animato dal principio del piacere, l’ansia è quindi un meccanismo difensivo primario che, in determinate circostanze, ci avverte che la realtà esterna non è come vorremmo che fosse e che quindi dobbiamo temere qualcosa.
L’ansia è quindi il vuoto che si genera nella distanza fra la nostra ideazione (pensieri, emozioni) e la realtà esterna. Nel momento in cui smettiamo di identificarci nei nostri pensieri (credere cioè che siano oggettivi, scambiandoli quindi per la realtà vera) il gap dovrebbe ridursi e le cose tornare al punto da cui l’ansia si è generata. Secondo C.J. Beck Roshi questo è ciò che significa “essere centrato”. L’ansia, a quel punto, ha esaurito la sua funzione e dovrebbe svanire.
Le paure più irrazionali sono dunque prodotti della nostra mente, fantasmi del nostro inconscio.
Le altre sono invece gli ostacoli inevitabili della vita, e non solo non sono nemiche della vita, ma sono anzi “segnali” per orientarla al meglio.
Fronteggiare la paura
La capacità di gestire le paure (quelle reali e quelle immaginarie, cioè le ansie) si apprende in genere da bambini, attraverso il rinforzo efficace di genitori empatici, a loro volta capaci di affrontarla, che di fronte agli ostacoli, piccoli o grandi, reali o immaginari, ci aiutano a sviluppare una specifica funzione psicologica, capace di neutralizzare paura e ansia.
Questo meccanismo psicologico impedisce all’ansia di dilatarsi, di “montare” come la panna montata e trasbordare in esperienze e sintomi penosi (somatizzazioni o attacchi di panico).
L’incapacità di neutralizzare l’ansia deriva dunque dal passato, quando da bambini non siamo stati adeguatamente sostenuti a fronteggiare gli ostacoli che inevitabilmente abbiamo dovuto attraversare.
Dobbiamo allora sostanzialmente re-imparare ad affrontare questa ansia (che scambiamo per paura) rafforzando il senso di coesione e di tenuta psicologica: l’ansia è solo un segnale che dobbiamo essere capaci di cogliere, se l’ascoltiamo non solo non ci uccide, ma ci diventa amica, ci aiuta a comprendere meglio ciò che ci è ostile e ostacola il nostro cammino.
Da adulti dobbiamo costantemente affinare questa funzione interna di neutralizzazione della paura, attraverso una maggiore consapevolezza su ciò che ci accade, differenziando sempre più chiaramente i nostri meccanismi ideativi, i pensieri e le emozioni, dalla realtà più oggettiva. Dobbiamo cioè diventare capaci di distinguere la realtà interna da quella esterna, il “dentro” e il “fuori” di noi.
La paura della paura
“Il coraggio non è sfidare i pericoli più grandi fuori di te, è affrontare il mostro più feroce, dentro di te” (S. Littleword).
Possiamo così diventare “esperti” e riconoscere l’ansia “normale”, che all’inizio è solo un segnale positivo che ci dice semplicemente che ci sentiamo in pericolo.
Man mano che ne facciamo esperienza, ci rendiamo conto che quello che più ci atterrisce è essenzialmente l’idea di “non essere in grado” di reagire adeguatamente, la sensazione di non avere le risorse necessarie per affrontare quello che ci sta spaventando.
La causa della paura (e dell’ansia relativa) è sostanzialmente la mancanza di fiducia in se stessi. La “madre” di tutte le paure è dunque la paura di non farcela, il vissuto di inadeguatezza di fronte agli eventi avversi, siano essi situazioni reali di vita o esperienze emozionali interne.
È l’idea (percepita come “reale”) di non avere la forza e la capacità di fronteggiare le cose che potrebbero accaderci. È la convinzione radicata, pregiudiziale e quindi sbagliata, di non essere in grado di affrontare gli ostacoli, di trovare le soluzioni. È la perdita della speranza che qualcosa di buono e di positivo ci possa ancora accadere.
Ogni volta quindi che, per paura, indietreggi o rinunci a qualcosa, non fai altro che amplificare la paura, la ingigantisci e la senti sempre più insormontabile. La ripetizione penosa dell’esperienza porta difensivamente a tentare di anticipare mentalmente gli eventi, finendo però per creare un effetto paradosso. È così che si forma quella condizione cronica che ti fa vivere in uno stato perenne di “pre-occupazione”.
L’ansia, da segnale iniziale utile, si è trasformata così nella “paura della paura”, in una sorta di ansia anticipatoria degli eventi, che di fatto amplifica tutte le paure. L’angoscia che sale incontrollata è in grado di annebbiare la mente, offuscando il pensiero e la ragione.
Tutte le paure, nelle diverse forme e modalità (qualche volta dirette, ma spesso nascoste), si riconducono a questo fondamentale meccanismo mentale.
Per riuscire a superare questa paura, questa concezione limitante di noi stessi e del nostro stare nel mondo, dobbiamo prendere coscienza, sul piano emozionale e non solo su quello cognitivo, che fuggire continuamente di fronte alle situazioni che ci creano apprensione, non aiuta affatto.
Affrontandole impariamo che nulla che appartenga al nostro mondo interno può essere tanto spaventoso, e che qualunque avversità può avere comunque una soluzione, una via d’uscita.
Nella realtà non c’è nulla (né dolore, né problema) che non possa essere accettato, affrontato e, il più delle volte, superato.
Le cose più atroci non le hanno forse prodotte gli uomini? Dunque, siamo attrezzati dalla nostra stessa evoluzione ad affrontare la paura.
Quale è la paura estrema? Quella della morte, che non è negoziabile, né indifferibile. È data per tutti. Val la pena temere ciò che accomuna e fa finalmente giustizia di tutte le disuguaglianze fra gli uomini?
La morte è temuta perché è identificata con l’idea del “Nulla”. La concezione nichilistica del Nulla è del tutto in contrasto con il destino della Verità (E. Severino).
Secondo il principio di non contraddizione, ciò che è (ente) non può trasformarsi nel suo contrario (niente). Quindi la vita, nella sua Essenza (non in quello che si manifesta materialmente, che è il suo divenire apparente), non può diventare “morte”, non può passare dall’Essere al Nulla. Questo non è solo fede, ma logica razionale!
Se hai paura, vuol dire fondamentalmente che ti senti inadeguato, temi in fondo te stesso!
Il vero problema è allora quello di ritrovare la fiducia in te stesso, la certezza che di fronte a qualunque minaccia alla tua integrità (fisica o morale), al momento opportuno sarai in grado, con le forze e le potenzialità della tua mente libera dalle paure, di difendere la persona più importante della nostra vita. Cioè, te stesso!
Ti riappropri così progressivamente della fiducia e della convinzione che puoi essere in grado di reagire, con le tue modalità e le tue risorse, di fronte ai pericoli, veri o presunti, siano essi fuori o dentro di te.
Da nemica, la paura può diventare la tua migliore alleata, perché ti può svelare parti di te di cui non avevi consapevolezza e che ora impari a conoscere.
Nonostante la paura: il coraggio
“A volte, allo stesso modo dei bambini che hanno timore del buio, noi temiamo, nella piena luce del giorno, cose altrettanto inconsistenti di quelle di cui al buio ha paura il bambino.”
(T.L. Caro)
Tutte le volte dunque che facciamo qualcosa per evitare la paura o che rinunciamo a qualcosa per paura, alimentiamo di fatto questa convinzione interna limitante, che diventa sempre più smisurata e minacciosa. Evitando la paura non aumentiamo affatto la nostra sicurezza interna. Sfuggendo alle nostre responsabilità infliggiamo a noi stessi una mortificazione.
La fuga, che apparentemente ci evita l’ansia/paura, in realtà ci espone ad un sentimento assai più penoso e devastante: alla paura subentra il senso di vergogna verso noi stessi per la nostra stessa incapacità di affrontare la vita.
Guai dunque a scappare per paura! Ogni volta che, per paura, rinunci a qualcosa, non fai altro che amplificare la paura, la ingigantisci e la senti sempre più insormontabile. Non indietreggiamo mai di fronte alla paura, non rimandiamo continuamente, nella speranza di essere un giorno (forse) più forti e più coraggiosi, capaci di sconfiggere la paura.
“Sono tante le cose che perdiamo per paura di perderle” (P. Coelho).
Così facendo, in attesa di una “forza” che riteniamo di non possedere, di fatto ci perdiamo molte cose della vita. Eventi, opportunità, rapporti che probabilmente avremo perso per sempre, senza possibilità di riparazione.
La paura non può essere eliminata. Non si può aspettare che passi. Non ci sono difficoltà, dolori, passaggi che non possono essere affrontati. La vita vera, tutto ciò che desideriamo, è lì che attende, al di là della paura. È necessario dunque agire, nonostante la paura.
È questo il coraggio: non è assenza di paura, ma la capacità di seguire i nostri intendimenti, in presenza della paura.
Se facciamo nostra l’idea che non esista prova che non siamo in grado di affrontare, la paura smette di farci … paura!
Non sparisce, ma se la affrontiamo non ci impedisce più di agire, non ci impedisce di vivere.
Ecco come descrive la paura la grande poetessa Alda Merini:
“Una perla conficcata dentro al cuore: la mia paura.
È una goccia di luce fredda.
È una lacrima cristallizzata.
Vorrei che non ci fosse, ma è qui dentro di me: incastonata come un gioiello dentro al mio cuore.
Inutile, impossibile strapparla.
Devo imparare – è questa la cosa più difficile – a non aver paura della mia paura.”
Contrariamente a quello che comunemente si pensa, il coraggio non è dunque l’assenza di paura, ma semplicemente la capacità di affrontare gli ostacoli e le difficoltà, nonostante la paura.
“Non è la paura che mi frega” – diceva ironicamente Totò – “ma è il coraggio che mi manca”.
Coraggio e paura sono le due facce della stessa medaglia.
Il vero “coraggioso” non è dunque colui che non teme nulla, ma colui che accetta il rischio di affrontare ciò che più teme.
Una persona “coraggiosa” non rinuncia ai suoi desideri, perché è sorretta dalle forza delle sue motivazioni.
Non nega o aspetta di dominare le sue emozioni, si prende carico delle paure, delle angosce e di ogni incertezza e va verso ciò che vuole realizzare. Con la mente in tumulto e le viscere contratte, nonostante l’impulso lo inviti a desistere o a fuggire, va consapevolmente dove la porta il suo cuore!
Una vita vissuta nella paura è una vita monca, scippata delle cose essenziali.
Se non viviamo secondo i nostri desideri, vuol dire che stiamo vivendo secondo le nostre paure.
Non sfuggire allora alle tue inquietudini; vivile e impara a distinguere le paure vere (di fronte ad un oggetto esterno o un pericolo reale), dalle angosce (che sono invece paure interne, “senza oggetto”).
Quando ti assale la paura, non preoccuparti, non alimentarla con pensieri ad essa collegati.
Quando un pensiero negativo ti colpisce, riconoscilo, quindi lascialo andare lentamente sullo sfondo della mente, non farti condizionare.
Non rinunciare mai a nulla per paura, altrimenti il tuo coraggio diminuisce e aumenta il tuo senso di inadeguatezza.
Un antico proverbio zen dice:
“Rincorrere un cattivo pensiero è un malanno; non continuare ad alimentarlo con altri pensieri è il rimedio.”
Con questa convinzione profonda tutte le paure (che derivano dalla paura originaria) si relativizzano e diventiamo man mano capaci di andare oltre gli ostacoli, accettando le inevitabili perdite che ogni scelta porta con sé.
Come alleniamo i muscoli, così possiamo affinare la nostra capacità di far fronte alla paura.
Giorno dopo giorno, dalle paure più piccole a quelle più grandi. Ad esempio affrontando la paura (di cosa poi?!) di dire liberamente a qualcuno quanto ci è mancato o ci manca ancora. Far entrare qualcuno nelle proprie paure è più intimo che andarci a letto.
La paura allontana l’amore, ma anche all’opposto: l’amore allontana la paura.
A ben pensarci non si può non condividere la convinzione che l’opposto dell’amore non sia l’odio na la paura; l’amore come forza vitale costruttiva, la paura come anti-forza mortale distruttiva.
“La vita si restringe o si espande in proporzione al nostro coraggio” (A. Nin).
Un giorno un allievo chiese al Maestro: “Cos’è l’amore?”
“L’assenza totale di paura”, rispose il Maestro.
“E cos’è che temiamo?”, chiese ancora l’allievo.
“L’amore”, disse il Maestro.
Quando incontri qualcuno o qualcosa che hai paura d’amare, quel qualcuno o quella cosa sono arrivati per farti affrontare finalmente la tua paura.
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Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano