La maschera
“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.
C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro.
E quando stai solo, resti nessuno.”
(L. Pirandello)
Nella lingua etrusca la maschera veniva designata con il termine phersu, tradotto poi in latino come phersu-na, persona. Nell’antico teatro greco, la maschera veniva indossata per far risuonare (per-sonat, suonare attraverso) la voce nell’anfiteatro in cui si svolgeva lo spettacolo. Alla fine della rappresentazione gli attori toglievano la maschera e svelavano la loro identità.
Maschera e persona sono quindi indissolubilmente associati, fin dalle origini.
Ancora oggi la maschera rappresenta simbolicamente la facciata che mettiamo in mostra per rappresentare il nostro “personaggio” sul palcoscenico sociale. È il falso Sé di cui ci serviamo per celare la nostra identità profonda. In psicoanalisi si distingue il vero Sé, intendendo la parte più profonda e autentica di se stessi, dal falso Sé, che designa invece le parti che mettiamo in atto a difesa del vero Sé.
La maschera è una modalità di essere nelle interazioni sociali. Tutti portiamo una maschera, che può essere il ruolo, le attribuzioni sociali, le abitudini o le consuetudini relazionali.
Entro certi limiti è normale e sana, perché serve a modulare la distanza emozionale nei rapporti con gli altri. È un “confine” fra noi e gli altri, utile quando non serve svelare del tutto la nostra intimità, come nei comuni contatti sociali.
La maschera è funzionale a tutelare i nostri aspetti più privati, che non è necessario rendere permeabili a tutti, ma riservare per le sole relazioni più significative e più intime. Quelle in cui caliamo appunto la maschera e riveliamo il nostro vero volto, la nostra identità.
In questo contesto, la qualità della relazione diventa il contenitore che consente di svelarsi reciprocamente all’altro. Perché ciò accada è cruciale costruire buone relazioni affettive.
Empatia, accettazione e assenza di giudizio sono elementi essenziali di una buona relazione, che si costituisce come il contesto facilitante per svelarsi reciprocamente l’uno con l’altro.
La “cornice” più appropriata per mostrarci è dunque quella di una relazione significativa, simmetrica e paritaria, con chi in particolare è disposto a sua volta a togliere la propria maschera.
Nelle relazioni intime, la maschera può più finalmente cadere e i due soggetti possono mostrarsi reciprocamente, nella loro autenticità.
Diversamente la relazione non potrebbe neppure “prendere corpo”.
La maschera serve perciò a modulare la giusta distanza emotiva dagli altri, e tutelare noi e gli altri da un eccessivo ed improprio coinvolgimento.
Avere consapevolezza della maschera è essenziale, perché possiamo indossarla e toglierla, congruentemente alla nostra posizione emotiva e al contesto in cui di volta in volta ci troviamo.
Dietro la maschera deve comunque esserci sempre la Persona, con il suo vero volto e la sua vera identità, non una nuova maschera.
Se però non conosciamo le nostre parti più profonde ed intime di noi stessi, o le percepiamo come fragili o “malate”, finiamo con l’identificarci del tutto con la maschera (falso Sé), perdendo sempre più contatto con il nostro vero Sé.
La maggior parte della gente scambia la maschera con il volto vero, smarrisce il rapporto con il vero Sé che sta dietro. Confonde la rappresentazione di sé con il vivere realmente in piena autenticità.
Ci sono individui che indossano maschere “di piombo”, saldate al volto, che non vengono quasi mai smesse.
Queste persone scambiano l’apparire con l’essere. Si identificano più con la loro maschera che con il loro vero Sé, di cui hanno scarsa o nulla dimestichezza. La facciata, scambiata per il contenuto, riceve tutte le attenzioni per “ben figurare” agli occhi degli altri.
Essere ed apparire sono dunque cose diverse. La Persona vera è sempre al di là della maschera.
È quando non abbiamo consapevolezza di averla, quando la indossiamo come uno scafandro, che diventa un problema. Quando non siamo più coscienti della maschera e non sappiamo più chi siamo veramente. E non sappiamo distinguere l’essenza dall’apparenza, ciò che siamo dentro da ciò che rappresentiamo fuori.
La maschera del narcisismo
“Ogni falsità è una maschera, e per quanto la maschera sia ben fatta, si arriva sempre, con un po’ di attenzione, a distinguerla dal volto” (A. Dumas).
L’ossessione dell’apparire è tipica del narcisismo di maniera del giorno d’oggi, caratterizzato dal bisogno compulsivo di riconoscimento, dell’approvazione sociale a tutti i costi.
Il bambino nascosto dietro la maschera (la parte infantile della persona), insicuro ed impaurito, chiede di essere amato, ma il narciso che lo rappresenta (l’adulto che è diventato) lo espone incessantemente ad esibire presunte virtù e qualità, di cui non è minimamente dotato.
Pura facciata, forma senza consistenza, apparenza priva di essenza. Ostentazione del nulla. Un continuo gioco al massacro esibizionistico, destinato a successi effimeri e continue cadute, perché non è fondato su scambi reali, caratterizzati da parità e reciprocità.
Il narciso chiede egoisticamente per sé e non si preoccupa affatto di ricambiare i bisogni dell’altro: una relazione narcisistica non è affatto una relazione “oggettuale” vera, cioè fra due soggetti che si riconoscono reciprocamente, ma un incontro di due solitudini che vedono l’altro come un prolungamento di sé (oggetto-Sé).
L’individuo diviene Persona quando non mente a se stesso, ha imparato ad accogliere luci ed ombre del proprio volto, della propria identità. Tolta la maschera, la Persona può mostrare il volto, il suo vero Sé.
Le Persone autentiche sono amorevolmente compassionevoli ma anche risolutamente spietate, con se stesse e con gli altri, quando è necessario a fin di bene. Tolgono la maschera e ci mettono la faccia.
Sono individui che rinunciano all’anonimato, alla comoda identificazione con i modelli sociali.
La Persona
Per diventare se stessi, realizzare il proprio Sé, bisogna andare oltre le multiformi identità parziali che assumiamo nel corso del nostro sviluppo. Dobbiamo avere il coraggio di perdere le sicurezze dei ruoli posticci che di volta in volta interpretiamo per imitazione e identificazione per adattarci alla realtà esterna, che ci danno l’illusione di essere “qualcuno”.
Bisogna abbandonare le parti transitorie di noi stessi, per giungere alla nostra vera, unica Identità. Aspirare ad affermare la propria identità, unica e irripetibile.
L’individuo maturo, la Persona vera non ha bisogno di apparenze, di manifestarsi ostentatamente.
È consapevole dei suoi limiti e delle sue qualità, è interessato più ai contenuti che alla forma, ad essere più che apparire. Al massimo si aspetta di essere riconosciuto più per la sua consistenza che per una immagine falsa ed evanescente. Diviene persino schivo ai richiami mondani, specie quando sono vacui, contatti impersonali senza relazioni, come i rituali sociali odierni privilegiano sempre più.
Le Persone vere non soffrono di solitudine perché sanno stare in compagnia di se stessi. Non galleggiano nel mare tranquillo del conformismo. Si spostano con il vento contrario. Perché andare controcorrente è il privilegio dei più coraggiosi.
Parafrasando Pirandello, per diventare finalmente Se stessi (“Uno”), bisogna lasciare andare i “centomila” personaggi che popolano la nostra scena, affrontando a pieno volto la nostra paura di non essere “nessuno”.
LUG
Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano