Per una politica rispettosa della persona
Il rapporto fra polis e psiche è stato da sempre implicitamente riconosciuto ma, di fatto, raramente è stato oggetto di pianificazione da parte degli addetti ai lavori. L’utilizzo della psicologia quale strumento esplicito e consapevolmente orientato (quindi scientifico) da parte del mondo politico, non rappresenta ancora una scelta usuale, anche se non mancano esperienze di collaborazione interdisciplinare in cui gli psicologi hanno fornito il proprio contributo conoscitivo e metodologico.
Dopo il suo sviluppo soprattutto in ambito statunitense, la psicologia politica comincia anche in Italia a trovare una sua qualificata espansione.
Nella primavera del lontano 1993, in piena “Tangentopoli”, fui promotore nell’ambito della comunità professionale degli psicologi (ero allora responsabile regionale lombardo della S.I.PS. – Società italiana di Psicologia) di un congresso dal titolo significativo: “IL SOGGETTO DELLA POLITICA: il Principe, l’Utopia, la Persona – La psicologia per una nuova progettualità sociale”
L’idea base che muoveva l’iniziativa era quella di diffondere le conoscenze psicologiche nel campo sociale e di dichiarare la competenza della psicologia nello studio della politica e nella progettualità della vita sociale.
Il soggetto della politica e la politica del soggetto
Al di là del relativo successo pubblico del convegno (determinato allora dall’impreparazione della comunità degli psicologi a gestire i complessi fenomeni “politici” del nascente Ordine professionale), la tematica (e le problematiche relative) sono indubbiamente attuali; appaiono anzi ulteriormente rafforzate dalla devastante reificazione della vita sociale, dal pervadente predominio delle sovrastrutture istituzionali, dalla caduta del senso di appartenenza e del “sentimento autentico del mondo”. Al di là del pragmatismo, che sembra essersi sostituito alla caduta delle ideologie, l’approccio psicologico alla politica vuole riaffermare la centralità del vero soggetto della politica.
Se la politica nella sua accezione più alta è focalizzazione dei bisogni umani e strategia di intervento, anche alla luce degli obiettivi etici e delle prospettive ideali, essa si dovrebbe costituire come istanza interpretativa centrata sul soggetto e sulle aggregazioni sociali, come occasione per costruire istituzioni, strutture e servizi “a misura d’uomo”, che contribuiscano veramente allo sviluppo della persona e alla fruizione di un migliore benessere per tutti.
La frattura fra pubblico e privato, fra politico e personale, fra collettivo e individuale, fra mondo esterno e mondo interno, non ha più fondamento alla luce dei grandi processi di trasformazione in atto nel mondo occidentale e degli sviluppi intervenuti nella cultura dei popoli.
Legittimare il fattore soggettivo nel discorso politico significa rendere “più politico il personale e più personale il politico“, far ritrovare alle persone un nuovo positivo “senso dell’esistenza”, contribuendo ad una nuova base etica della società fondata sul “significato dell’essere al mondo”.
La dimensione soggettiva in politica vuole, in ultima istanza, rispondere alla diffusa esigenza di “risacralizzazione” della vita che si manifesta (quasi come risposta sintomatica ad un disagio collettivo cronicizzato) in modi diversi ma sempre più evidenti.
In questo senso, una autentica considerazione della soggettività, non più scissa dalla socialità (intesa come “dimensione plurale”, declinazione collettiva dell’ individuo divenuto persona, nel passaggio dal Sé al Noi, attraverso la coppia, i piccoli gruppi, le grandi aggregazioni sociali e la comunità), va ben oltre la terribile tendenza del “politicamente corretto” , l’apparente accoglimento di qualunque istanza rivendicativa, che altro non è se non la manifestazione di facciata di un bigottismo progressista, profondamente insofferente ad ogni differenza. Il politicamente corretto è teso di fatto a neutralizzare (“governare” appunto) ogni manifestazione di diversità (dai lamentosi richiami di gruppi di facinorosi alle legittime richieste di identità), soffocando con ciò anche tutto ciò che ha una sostanziale qualità e mortificando qualunque vera spinta emancipatoria.
La politica della soggettività trova fondamento nel superamento (apparentemente paradossale) di una visione individualistica, di una concezione del singolo contrapposto al “sociale”, sostituendola con una visione della persona , intesa come “meta maturativa dell’individuo”
Per un approfondimento del concetto di persona che Davide Lopez ha introdotto nello scenario psicoanalitico fin dagli anni sessanta, rimando alle sue opere più significative. Per gli scopi di questo contributo ci basti pensare alla persona come al passaggio dell’individuo ad una superiore posizione dello sviluppo psichico, un individuo dunque non più “frantumato e disintegrato”, così come è stato concepito nelle teorie strutturali della mente, ma “ricomposizione e ristrutturazione armonica di tutte le istanze fondamentali dell’individuo, dell’Es, dell’Io, del Super-Io e dell’Io ideale”. La persona nasce dal superamento e dal trascendimento dell’individuo episodico, transeunte, legato al tempo e allo spazio, intesi in senso mondano e fisicistico; un individuo passato dunque attraverso il crollo dell’Io fallico-megalomanico, dell’Io edipico, dove l’accento è posto sulla rinascita e sulla prospettiva, oltre la tragedia, la paura della follia e della morte. “Questo individuo trapassato è la persona”, per Lopez, la persona è dunque la “terra promessa”, metafora della maturità, concepita non come semplice integrazione di parti di personalità o adattamento alla realtà esterna, ma come posizione libidico-emotiva e mentale, mai compiutamente definita, in continuo rinnovamento ed arricchimento. (Calia, 1997)
“E non sarà che a questo mondo ci sono troppi individui e troppo poche persone?!?……” affermava pensosa Mafalda, il celebre personaggio dei fumetti di Quino. Noi pensiamo sia proprio così e pensiamo anche che sia maturo il tempo per facilitare questo sviluppo, anche attraverso l’utilizzo del chiasma politica del soggetto – soggetto della politica.
“Da una politica come dovere, come sacrificio, come pesantezza, come ossessione e bisogno, si propone da passare ad una politica del piacere politico, della leggerezza e del desiderio” (Spaltro).
Una politica dunque che abbia consapevolezza profonda delle sue basi soggettive e delle sue enormi potenzialità creative, rappresentate dalle risorse psicologiche, per propria natura inesauribili, contrapposte dialetticamente a quelle economiche, soggette a penuria.
L’apporto della psicoanalisi alla politica
La psicoanalisi nel suo complesso si è finora poco occupata di applicare i propri costrutti e le specifiche metodologie interpretative alla politica. Eppure già nel 1913 Freud rivendicava la basilare capacità della psicoanalisi “di far luce sulle origini delle nostre grandi istituzioni sociali – sulla religione, la morale, la giustizia, la filosofia […..]. La conoscenza delle malattie nevrotiche dei singoli ha notevolmente agevolato la comprensione delle grandi istituzioni sociali” (Freud)
Le conoscenze della psicologia del profondo, quando non usate in termini “selvaggi”, da improvvisati analisti sociali, ma da professionisti qualificati, autenticamente interessati allo studio dei fenomeni politici e sociali, possono aiutare (sempre in un contesto interdisciplinare) a comprendere i complessi meccanismi psichici in atto nei processi politici (ad esempio l’adesione ideologica, le decisioni di voto, i fenomeni di gruppo o collettivi).
Nel rapporto fra il mondo politico (i partiti, i politici, i candidati, …..) e il cittadino esistono infatti numerose interrelazioni psichiche inconsce, soggette non alle regole della razionalità o della logica formale, ma alle leggi dei processi mentali primari, quelli dell’inconscio appunto, che ha proprie intenzionalità e finalizzazione. Difficile è venire a “patti” stabili con tali processi, che sono non di meno abbordabili con un approccio ermeneutico-interpretativo, attraverso l’evidenziazione e l’elaborazione dei pocessi stessi. Tale approccio conduce all’allargamento della consapevolezza delle persone (dei politici e dei cittadini), e al passaggio da un rapporto utilitaristico alla concezione di una relazione di reciprocità (rapporto persona/persona).
Nella fase elettorale, ad esempio, il cittadino mette in atto inconsapevolmente nei confronti dei candidati molteplici meccanismi psicologici (identificazione, proiezione, scissione, negazione, ecc.).
Il complesso rapporto è caratterizzato da una marcata ambivalenza : l’elettore si aspetta che il politico sappia realizzare le “cose buone” con cui egli si identifica e che ritiene quindi proprie, assegnando al politico il compito di rappresentarlo. Tutte le “cose cattive” della politica (le continue mediazioni, i processi di negoziazione, le alleanze, gli inevitabili conflitti, ecc. ) sono proiettate fuori ed attribuite esclusivamente ad un mondo da cui il cittadino “si chiama fuori”, si sente estraneo.
Il candidato deve quindi essere in grado di facilitare il compito identificatorio dei cittadini, lascandosi investire dalle aspettative, i desideri, i bisogni, ma anche dalla inevitabile ambivalenza che questo processo comporta. Per farlo egli deve saper padroneggiare la relazione ponendosi ad una “giusta distanza” e ad un duplice livello:
- da una lato, con un rapporto asimmetrico e impari, dove egli rappresenta il polo adulto, “genitale”, che si “prende carico” (piuttosto che “si cura”) dei bisogni dell’altro, che ne accetta la dipendenza e la responsabilità di tale “delega”, senza però negarla, al primo accenno di delusione o disillusione;
- dall’altro, con un rapporto simmetrico e paritario, il politico deve possedere la capacità di contro-identificarsi con il cittadino-elettore, con un atteggiamento autentico di ascolto, empatia, rispetto, accettazione del ruolo (che non implica quindi una mera posizione di potere, di arroganza, di presunzione).
Questo naturalmente non significa assegnare un primato assoluto alla psicologia, al soggetto, alle emozioni, alle relazioni affettive; vuol dire anzi, letteralmente, “saper governare” queste istanze ponendole in primo piano nella realizzazione di un tessuto sociale che può tornare vitale proprio perché fondato sulle valorizzazione delle energie basilari che lo alimentano.
E’ così utopistica una nuova centratura della politica sul concetto di benessere delle persone, rispetto alle sovrastrutture sociali? Forse perché questo implica il passaggio dalla scarsità (dei bisogni, delle risorse economiche, ecc.), all’ abbondanza (dei desideri e delle risorse soggettive), un rafforzamento quindi della psicologia e della sua importanza ed un indebolimento dell’economia e della sua pervadenza?!…
In senso metaforico, può essere proposto il parallelismo fra la psicoterapia e la politica, fra la terapia individuale e la terapia collettiva, fra la terapia della persona e la “terapia del mondo”.
In questo parallelismo, la polis, il governo sta per l’Io, i cittadini stanno per le relazioni oggettuali, le problematiche sociali sono l’equivalente della psicopatologia e delle problematiche cliniche che affliggono le persone.
Quello che può essere interessante e relativamente nuovo nella proposta di “terapia del mondo” (vedi A. Samuels) è che la parte dell’analista può essere svolta da chi si pone (e si propone) per “curare il mondo”, dal semplice cittadino, al politico di professione.
La parte del paziente non è quindi svolta (come per altri approcci) dai cittadini, ma dalle problematiche sociali di cui soffre il mondo (il Comune, la Regione, la Nazione, l’Europa, ecc.). I temi politici diventano quindi i sintomi, i disagi, le aspettative, le delusioni, i bisogni di amore, di sicurezza e di appartenenza che angustiano tutti nel mondo d’oggi.
Dalla psicologia clinica può essere inoltre mutuato il concetto ampiamente noto di controtransfert per sentire, elaborare, interpretare e rappresentare al meglio ciò che il cittadino sente e di cui ha più intimamente bisogno.
In pratica, per fare “terapia del mondo” bisogna essenzialmente sapere “leggere dentro di sé” (da parte dei cittadini e dei politici) i bisogni e i desideri più profondi, in modo semplice, diretto e autentico.
Temi quali la sicurezza, la famiglia, i servizi, l’immigrazione, l’ambiente assumono ben altri toni e significati alla luce degli affetti, delle emozioni e dei sentimenti (di amore e di odio) delle persone.
Al di là delle ideologie, dei fariseismi e degli schieramenti ipocriti e difensivi, “curarsi del mondo” attraverso la dimensione interna, le rappresentazioni mentali della realtà esterna, di ciò che della realtà abbiamo interiorizzato, significa occuparsi direttamente di quella percezione e visione del mondo che più di ogni altra cosa ha influenza sulla realtà oggettiva, quella condivisa e confrontata con altre persone.
Trattati clinicamente ed oggetto di “elaborazione, rielaborazione ed interpretazione” (con metodologie di ascolto, di confronto e di analisi, derivate dalla pratica clinica, ma adattabili agevolmente in setting di gruppo) i problemi assumono una dimensione relazionale, intersoggettiva, passando da un “interesse individualistico” ad un “interesse pluralistico”, diventando problematiche esistenziali collettive.
Prendere in terapia il mondo diventa prospettiva di benessere, di sviluppo delle persone e delle loro relazioni, in un contesto sociale che potrà vedere mutato radicalmente il suo “clima”.
E’ una prospettiva indubitabilmente difficile ed ambiziosa, ma drammaticamente attuale e necessaria. Si può dire anzi che la psicoanalisi (quella dei professionisti che non disdegnano snobisticamente la politica, con un narcisistico atteggiamento intellettualistico) attendeva da tempo di iniziare la terapia del mondo, ma il “paziente” non si è presentato alla prima seduta!……..
Implicazioni operative
Le conoscenze fornite dalla psicoanalisi e dalla psicologia sociale applicate alla politica hanno delle implicazioni dirette nell’azione di management politico che ogni forza politica, ogni singolo politico o candidato, dovrebbero oggi saper esercitare per rendere più efficace il proprio operato pubblico.
Quanto fin qui riportato costituisce soltanto una serie di appunti, la cui finalità principale è quella di sensibilizzare i soggetti politici ad un approccio nuovo alle problematiche sociali, una diversa considerazione della soggettività ed il passaggio dunque alla politica della persona.
Il punto cruciale è rappresentato forse proprio da questo:
- il passaggio dall’individuo alla persona
Questo passaggio non può naturalmente essere concepito come una semplice modifica lessicale, solo uno slogan quindi, ma deve costituirsi come un vero cambiamento nel sistema assiologico che regola l’azione politica e nella concezione stessa dell’uomo.
La politica della soggettività e della persona pone infatti in primo piano la dimensione affettiva e relazionale e la realizzazione della persona nella sua organizzazione sociale (la coppia, la famiglia, il lavoro, i gruppi, le organizzazioni, le istituzioni), relegando sullo sfondo il mito dell’obiettività e il primato delle scienze cosiddette obiettive.
La nuova gerarchia dei valori deve vedere in testa i fattori soggettivi, assegnando alle strutture e alle sovrastrutture un giusto posto, quali strumenti appunto per la realizzazione di un mondo di persone (non più singoli individui) e di relazioni fra persone.
(Articolo originario luglio 2000)[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
NOV
Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano