Rinascere

Nel giorno del compleanno

“Sbarazzatevi degli inutili fardelli che sono i residui del passato e il timore del futuro.” (A. Jodorowsky)

Ad ogni nuovo inizio (a Capodanno, al ritorno dalle vacanze, nel giorno del nostro compleanno, ecc.) ci piace pensare di poter fare (finalmente) quei cambiamenti nella nostra vita, che – da tempo – sappiamo dovremmo affrontare: cattive abitudini, aspetti del carattere, azioni procrastinate, ecc.
Tutti, chi più chi meno, facciamo il proposito di rinnovarci. Il cambiamento è ineluttabile, è costitutivo della vita, è evoluzione; bisognerebbe sempre favorirlo, piuttosto che resistergli.
Per farlo occorre però imparare a sbarazzarsi di vecchi residui, più o meno ingombranti, del passato e fare i conti con ciò che siamo diventati.
“Liberati di tutte le zavorre che non ti permettono di volare” (A.M. D’Alò).

Opportunità

“Ogni problema della nostra esistenza è il seme dell’opportunità di ottenere un vantaggio maggiore. Questo mantiene vivo il mistero, la meraviglia, l’eccitazione, l’avventura” (D. Chopra).

Di fronte ai cambiamenti o alle difficoltà che la vita ci presenta spesso reagiamo con angosce insopportabili, con automatismi difensivi, con fughe e azioni istintive, o ancora peggio con i più svariati meccanismi psicopatologici.
Questi passaggi inevitabili dell’esistenza possono invece essere occasioni positive, potenziali opportunità in cui ci viene offerta una ulteriore chance per cambiare, per porre rimedio a ciò che non va nella nostra vita e che ci fa star male.
Insomma, un altro giro di giostra (T. Terzani), un ennesimo invito al “ballo sfarzoso” della vita.

Belletà (… senza apostrofo)

“Quando camminiamo fino al limite di tutta la luce che abbiamo, e facciamo un passo nell’oscurità dell’ignoto, dobbiamo credere che una di queste due cose accada: ci sarà qualcosa di solido per noi su cui rimanere in piedi, o ci verrà insegnato a volare” (P. Overton).

Compiere gli anni rappresenta una ri-nascita simbolica. Il giorno del compleanno è l’inizio di un cerchio che ci ricorda che tutto scorre e tutto ricomincia. Tutti gli anni, al nostro compleanno, sentiamo di dover cogliere questa opportunità. Non possiamo tornare indietro, cambiare le cose, ma abbiamo l’occasione per rivedere ciò che siamo diventati, fare l’inventario dei sogni, recuperare i desideri sopiti e ripartire.
Non possiamo modificare il passato, ma possiamo rivalorizzare il presente e orientare il futuro.
Il tempo è un continuum, smisurato e immisurabile; è inarrestabile, come il fluire di un corso d’acqua che vediamo scivolare via e che non è mai lo stesso, pur restando il medesimo.
È l’eterno divenire di noi, delle cose, che si trasformano eppure rimangono le stesse nella loro essenza (tutto ciò che esiste è eterno, non viene dal nulla e non ritorna nel nulla).

Noi non siamo padroni del tempo, ma abbiamo la possibilità di dargli un senso. Il giorno inizia e finisce comunque, senza il nostro consenso. Tanto vale viverlo, fino in fondo, puntualmente, momento per momento, prima che sia troppo tardi per farlo.
Come il singolo fotogramma di una pellicola in cui si imprime il film della nostra esistenza, ogni giorno della nostra esistenza può essere importante; dovremmo vivere sempre ogni istante, ogni esperienza, ogni cosa come fosse l’ultima volta. Ogni secondo è di valore infinito, diceva Goethe, perché rappresenta un pezzo dell’intera eternità.
Il tempo terreno è tiranno, ma nello Spirito c’è tutto il tempo necessario per prepararsi a durare in eterno…

Il tempo

“Io avanzo verso l’inverno a forza di primavere” (C. De Ligne).

Dobbiamo però definitivamente rinunciare a rimuginare, recriminare, sentirci in colpa, cercando illusoriamente di venire a patti con il passato, oppure smettere di preoccuparci anticipatamente per il futuro, nella convinzione altrettanto illusoria di controllarlo. Abbiamo la possibilità di agire solo nel presente: questo è l’unico vero “super-potere” che dovremmo cercare di coltivare.
La capacità di sostare in pienezza nel presente, guardando il mondo attraverso l’amore per il prossimo e per “noi stessi come prossimo”, è la base per placare la sete di serenità e trovare finalmente pace.
Cerchiamo allora di “non guardare indietro con rabbia e avanti con paura, ma semplicemente intorno con consapevolezza” (J. Thurber).
Un “segreto” che troppo spesso semplicemente dimentichiamo.
C’è dunque un tempo del “dovere” e c’è un tempo del “godere”.
Dobbiamo recuperare la capacità di gioire del tempo presente, completamente soffocato fra il rimuginìo del passato e le preoccupazioni anticipatorie del futuro.
Dobbiamo reimparare a gestire meglio il “nostro” tempo, separando bene i tempi del lavoro, i tempi sociali, dai tempi degli affetti e delle relazioni personali, badando di dare a ciascun tempo la priorità che gli spetta, distinguendo con piena consapevolezza ciò che è essenziale, ciò che è più importante da ciò che non lo è.

Dobbiamo riuscire a scandire i secondi, i minuti, le ore, le stagioni in modo da comprenderlo tutto, non lasciare perdere nessun singolo frammento.
Ogni momento deve cingere tutto il resto, in modo che “l’oggi abbracci il passato col ricordo, ed il futuro col desiderio” (K. Gibran).
Non è la “quantità” del tempo, dei giorni o degli anni che conta, ma la “qualità”, ossia l’essere dentro le cose e pregustarle fino in fondo, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore.
Il problema del vivere non è la Morte, ma la Vita stessa quando diventa un problema: quello che conta è ciò che realmente riusciamo a fare nel tempo che ci è dato di parteciparne.

Sono assolutamente persuaso che non è tanto importante aggiungere quantitativamente “anni alla vita”, quanto piuttosto di dare qualitativamente “vita agli anni”, ogni singolo giorno della nostra esistenza.
Non è il numero che conta, ma il senso, ossia l’essere dentro le cose e viverle fino in fondo.
Ignorare la profondità e l’intensità della vita, che solo una consapevolezza piena può dare, condanna ad una esistenza di sostanziale superficialità ed estraneità, quasi una “morte psichica”, al di là di quanti anni poi si sia realmente vissuto.
Non sono affatto interessato ad una tale esistenza “scippata”!
Non mi interessa affatto vivere per aggiungere anni alla mia vita, ma per riempire di vitalità e conoscenza la mia esistenza (la mia e possibilmente quella degli altri …), pur con la consapevolezza profonda di “essere nel mondo, ma di non essere di questo mondo” (Gesù).
Senza pretese narcisistiche, ma neanche con la falsa umiltà di rinunciare ad essere sempre, lealmente e coerentemente, me stesso.

Alla mia bell’età (con l’apostrofo o senza…), più che a compiere gli anni, bisogna pensare a completare i sogni, a realizzare (cioè rendere reali, concretizzare) ciò che abbiamo in sospeso.
Auguro a me di riuscirci, perché solo così posso essere coerente con tutto ciò che faccio e cerco di trasmettere agli altri.

Bell’età (… con l’apostrofo)

“Quanti anni hai?”

Dipende …
Ho 5 anni quando me ne sto da solo con i miei libri e mi trastullo con le idee, le mie e quelle degli altri, come da bambino giocavo con i bottoni.
Ho 10 anni quando lavoro, felice dei miei compiti, contento di sentirmi appagato, vederne i risultati, dalla mia faccia e da quella degli altri, come una volta andavo volentieri a scuola per stare con la maestra e i miei compagni.
Ho 15 anni quando mi inerpico in insaziabili riflessioni, sulla mia vita, su quella degli altri e del mondo in generale, come da adolescente mi tormentavo sul senso del mio essere al mondo.
Ho 20 anni quando ritrovo il pathos dell’amore, quando l’attrazione fisica (Eros) verso una donna non si distingue dalla seduzione mentale, esattamente come accadeva in quel tempo anagrafico.
Ho 30 anni quando sono pieno di speranze, quando so che quello che costruisco nelle mie relazioni è il giusto compromesso fra i miei meriti e un po’ di buona sorte, ora come allora.
Ho 40 anni quando sono ancora fiducioso che tutto sia sotto il mio controllo e che non potrà che andar secondo il bene, qualunque cosa accada.
Ho 50 anni quando comincio a tirare le somme e qualche cosa non torna, qualche conto risulta in rosso, secondo le aspettative che mi ero fatto, e che magari non erano esattamente in linea con i bisogni veri e i desideri inespressi.
Ho 60 anni quando mi prendo qualche libertà perché so di poterlo fare, quando il rispetto per gli altri non supera il rispetto verso me stesso.
Ho 70 anni quando mi sembra di aver già visto e provato tutto nella vita, senza sapere che non è affatto così e che c’è sempre il tempo e il modo per sorprendersi a gioire, a stupirsi per amore.
Ho 80 anni quando mi sento stanco e con la sensazione di non aver niente altro da imparare, quando sai che non è finita ma non è più tempo di ricominciare.
Ho 90 anni quando so star bene da solo ma non disdegno di ricercare la compagnia degli altri, quando gli altri mi raccontano qualcosa e mi accorgo di non ricordarlo.
Ho 100 anni quando raggiungo un traguardo che credevo impossibile.
Sono morto a qualunque età, tutte le volte che mi disallineo da me stesso, che tradisco la mia vera natura, che mi adatto alle pressioni esterne, rinunciando a ciò in cui ho sempre creduto, alle mie priorità.

L’anno precedente scrivevo:
“A 20 anni ti vedi invincibile.
A 30 anni ti senti il più forte.
A 40 anni ti credi il migliore.
A 50 anni ti ritieni il più esperto.
A 60 anni ti reputi sapiente.
A 70 anni, ti guardi e ti riguardi, ma non ti riconosci.”
Oggi non mi ritrovo in quelle attribuzioni, non mi interessano più. Mi sento certamente più libero di essere me stesso, e meno vincolato da appartenenze e condizionamenti sociali. Sono forse un po’ più “saggio”, finalmente!
Sicuramente molto più consapevole di tutta la mia storia e di tutto ciò che, nel bene e nel male, ho fatto o non fatto.
Non sono io a dover giudicare ma credo che, nel mio bilancio “karmico” in questa vita, io mi sia guadagnato qualche credito fra quello che ho dato e quanto ho ricevuto; vuol dire che incasserò il bonus la prossima volta…
Onestamente credo di aver raggiunto un’età in cui non certo più il tempo per ricominciare, ma nemmeno quello per rinunciare.

Spero di poter continuare ancora a vivere e condividere tante cose, belle o brutte che siano, ma tutte con sincerità, autenticità e rispetto.

“Io mi concepisco come un uomo che ha cozzato in molti scogli, ha evitato a malapena il naufragio passando in una secca, ma conserva ancora la temerarietà di mettersi in mare con lo stesso battello sconquassato, mantenendo intatta l’ambizione di tentare il giro mondo nonostante queste disastrose circostanze” (D. Hume).

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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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