Caso o destino?
”Gli incontri avvengono sempre nei momenti in cui la mente è molto libera o molto affollata.
Nel primo caso avvengono per donare alla nostra anima qualcosa di nuovo.
Nel secondo per liberare la nostra vita da qualcosa di sbagliato.”
(Osho)
Non so se esista un disegno prestabilito, ma sono certo che la vita non è solo una serie di eventi senza senso, oppure di coincidenze, che avvengono casualmente.
Non so se le persone che si incontrano fossero predestinate a farlo, ma per esperienza personale e professionale posso affermare che alcuni eventi della nostra vita accadono in maniera così sincronizzata da far pensare a “qualcosa” che ha orientato quell’incontro o quell’esperienza.
“Nulla accade per caso”.
Quell’evento – definito come sincronicità – sembra avere un senso, si è mosso per dirci qualcosa, per far sì che ciò che giaceva inespresso dentro di noi, potesse finalmente diventare manifesto.
L’incontro si offre come il contenitore per la “realizzazione” di un qualche desiderio, che è pronto ora a oggettivarsi.
La magìa non è data solo dalla risoluzione di questa “emergenza” sul piano personale, ma anche dal fatto extra-ordinario che lo stesso evento assuma, sincronicamente, il medesimo senso per due persone che, per apparente caso, la vita ha fatto incontrare.
La sola cosa di buon senso che si possa dire è “Grazie!”
Incontri
“Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano” (P. Coelho)
Nessun incontro avviene per caso.
Al di là della sincronicità, in qualsiasi modo ogni incontro nella nostra vita assume un significato, nel bene o nel male, a un livello apparentemente superficiale, oppure ad un livello più profondo.
Quell’incontro ha un senso, sia che ne siamo consapevoli e riusciamo ad individuarlo, sia che ci rimanga oscuro.
Molti aforismi convergono su questo:
“Là fuori, al di là di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, esiste un campo immenso. Ci incontreremo lì.” (Rumi)
“Camminavamo senza cercarci, eppure sapendo che camminavamo per incontrarci.”(J. Cortázar)
“La vita non ti da le persone che vuoi, ti da le persone di cui hai bisogno: per amarti, per odiarti, per formarti, per distruggerti e per renderti la persona che era destino che fossi.” (A. Einstein)
Ogni essere umano è una persona, portatrice di bisogni, desideri, diritti, doveri, sogni, aspirazioni.
Più o meno consapevolmente, che ne sia cioè cosciente o no, ha un suo scopo di vita.
Se incrocia la nostra via, se intreccia il suo destino con il nostro, per un tragitto più o meno lungo, solo per questo merita rispetto.
“Quando incontri qualcuno ricorda che è un incontro sacro. Come lo vedi, ti vedi. Come lo tratti, ti tratti. Come lo pensi, ti pensi. Ricorda che attraverso di lui o ti perderai o ti ritroverai” (F. Battiato).
Se immaginiamo la nostra vita come un “romanzo” con una sua coerenza interna, niente accade senza una ragione, tutto ha un senso implicito od esplicito.
Come una trama, gli incontri che facciamo debbono essere considerati come “coincidenze” che servono a sviluppare la narrazione, ad indicare la direzione da percorrere, che proprio ogni determinato incontro caratterizza per noi come più o meno importante o significativo.
Certo, se è già difficile individuare il senso personale di ciò che ci accade (“che senso ha questo incontro, questa esperienza, questa persona per la mia vita?”…), ancora più misterioso ed intrigante è comprendere l’intreccio delle trame che scaturisce dall’incontro stesso, apparentemente casuale, fra due persone. È come se la narrazione del romanzo della mia vita, si incrociasse con le pagine della narrazione di un’altra persona; occorre uno sforzo di immaginazione, di fantasia e di creatività per non perdere il filo delle storie rispettive.
Non è sempre detto che le motivazioni di quell’incontro siano sovrapponibili, certamente insistono sulla medesima necessità, congiunta, di rispecchiarsi nello stesso scenario, per un breve tratto di storia o per sempre, non è dato saperlo preventivamente.
Entrambi comunque hanno l’emergenza (e l’urgenza) di in-con-trarsi (cioè tirar fuori, da dentro, insieme), per dipanare qualche aspetto della propria storia relazionale e dei propri incontri precedenti. Già il fatto che abbiamo bisogno l’uno dell’altro qualifica quell’incontro, che andrà comunque nobilitato con quel rispetto di cui parlavamo prima, avendo accortezza di toccare con delicatezza, oltre che il corpo, anche l’anima di chi abbiamo incontrato. Questa reciprocità è data di per sé, ma andrebbe sperimentata con maggiore consapevolezza di quanto comunemente non avvenga (alcuni infatti prendono quello che volevano prendere per sé, e se ne vanno sbattendo la porta in faccia all’altro, senza un minimo di riguardo e senza alcuna gratitudine).
È possibile che quell’incontro sullo sfondo rievochi i fantasmi di altre figure o personaggi, e che l’incontro con la persona del presente è solo il transfert, lo schermo di rappresentazione di altre sceneggiature che devono essere ripetute e rielaborate, per essere finalmente superate e concluse. In tal senso è come se, entro certi limiti, “usassimo” l’altro per dipanare qualcosa di irrisolto del nostro passato, da proiettare come possibilità di rinnovamento verso il futuro.
Ma poiché tutto si gioca nel presente, è possibile che il senso di quell’incontro si sviluppi in modo difforme fra le due persone che lo animano; è possibile che uno dei due “usi”, “si serva” dell’altro più egoisticamente per riprendere il proprio cammino, interrotto transitoriamente proprio da quel rapporto. In tal senso è come se, uno dei due avesse bisogno dell’altro per “ritornare sul luogo del delitto”, ossia si serva dell’altro per attenuare il tormento di qualcosa di non completamente accettato o digerito del proprio passato.
Questo aspetto è evidentemente presente in modo inconsapevole, sia in chi “usa” e in chi viene “usato”, ma può essere riconosciuto come qualcosa di insolito e non comunemente presente nelle proprie vite. È in ogni caso un tratto di esperienza dolorosa per entrambi, proprio perché incongrua e in ogni caso disturbante della autenticità dell’incontro, ossia del qui e ora e delle caratteristiche piacevoli che avevano innescato e avviato quel rapporto.
Altra cosa, che merita un discorso da affrontare più approfonditamente, l’incontro fra personalità con evidenti disturbi narcisistici, che in effetti non è esattamente quello che in psicoanalisi viene definito come “relazione oggettuale”, cioè una relazione fra un soggetto che riconosce un altro soggetto come altro-da-sé e, quindi, come oggetto altro, con pari dignità e valore. La relazione narcisistica viene infatti designata come relazione con un oggetto-Sé, dove il soggetto è uno soltanto e l’altro è solo un oggetto, cui non è riconosciuta autonomia e che serve solo ad appagare i bisogni dell’altro, unilateralmente.
Per queste vicissitudini la magia iniziale dell’incontro per qualcuno (o entrambi, più o meno dolorosamente), può trasformarsi in una cocente delusione o in un “incubo”.
In ogni caso, concluso lo “scopo”, quell’incontro esaurisce il suo corso. La storia si chiude.
Nulla succede per caso: la sincronicità agisce come una legge fisica.
“C’è un incontro fissato, ancora senza ora e senza data, per trovarci, io sarò lì, puntuale, non so tu”(J. Cortázar).
Non assecondando il senso degli eventi che ci accadono, non accogliendo le persone che incontriamo, rifiutando la nostra responsabilità di quegli eventi e quegli incontri, è possibile che si ritardi la consapevolezza, non si comprenda a fondo la lezione che dobbiamo comunque apprendere.
Che saremo poi costretti a ripetere inconsapevolmente, in una continua coazione, da noi passivamente subita come destino avverso e infelice.
Relazioni, rapporti, contatti
“Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé e si porta un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla.
Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano mai per caso.” (J.L. Borges)
L’incontro più vero e profondo è quello fra due persone, già capaci di stare in piedi autonomamente.
Complete per quanto possibile, psicologicamente mature ed indipendenti, incontrano l’altro come desiderio, come “lusso”, non semplice bisogno di dipendenza e rispecchiamento.
Riprendendo Jung, un incontro di questo tipo è come il contatto di due sostanze chimiche: se c’è reazione, entrambe vengono trasformate. Questo incontro è una “relazione.
Poi ci sono gli incontri fra individui “zoppi”, psicologicamente incompleti, carenti, bisognosi di completamento e di rispecchiamento.
Incontri funzionali ad entrambi ma fragili proprio per questa utilità reciproca, per questa necessità.
Questi incontri si possono definire “rapporti”.
Infine ci sono i numerosi “contatti”, anonimi, impersonali, esterni, interazioni di individui estranei l’un l’altro.
Contrariamente a ciò che comunemente si crede, questo avviene sia sui social che nella vita reale.
In ogni caso gli incontri ottengono il risultato di arricchire la nostra esperienza di qualcosa di nuovo, oppure di liberare la nostra vita da qualcosa di sbagliato (Osho).
In una visione psicologica transpersonale, ogni incontro può assumere un significato “sincronistico” (Jung), capace di cambiare, più o meno profondamente, l’immagine che abbiamo di noi stessi.
Eventi che possono aiutarci a comprendere meglio noi stessi, per dare maggiore pienezza alla nostra esistenza.
“La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo. Ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima.” (C.G. Jung)
Vivere in armonia con l’Universo significa avere una fede incrollabile, credere in quello che gli antichi chiamavano fato, l’equivalente di quello che oggi pensiamo come destino.
Gli incontri più significativi possono avvenire quando la nostra vita è allineata alla nostra anima, alla nostra vera natura. E ciò non è affatto scontato, perché spesso siamo distanti dal nostro “destino”.
Ma in particolari periodi o momenti del nostro cammino questa sincronia fra noi e la nostra anima può avvenire. Ed è lì che un incontro può assumere una valenza specifica. Il monito di Jung è di assecondare questi processi.
“Non aggrapparti a qualcuno che se ne va, altrimenti non sarà possibile incontrare chi sta per arrivare” (C.G. Jung).
Anche l’incontro amoroso non sfugge a questa dinamica.
“Cos’è l’amore?”, chiese l’allievo.
“L’assenza totale di paura”, rispose il Maestro.
“E cos’è che temiamo?”
“L’amore”, disse il Maestro.
Quando incontri qualcuno che hai paura d’amare, quel qualcuno probabilmente è venuto per farti affrontare finalmente la tua paura.
È così che possiamo arricchirci vicendevolmente del tesoro (e delle miserie) di cui siamo tutti portatori.
[Il senso di tutto ciò è ben espresso, in modo creativo, in questo video (non mio), reperibile su YouTube]
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Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano