Potere economico e responsabilità personali
“Fai del denaro il tuo dio e ti tormenterà come il diavolo” (H. Fielding).
Sono state abili le menti che governano il mondo ad imporre, da Occidente ad Oriente, un solo unico Dio: il Denaro.
Il possesso di beni e l’arricchimento materiale sono diventati la nuova religione universale in cui tutti credono. Una religione mondana fatta di illusioni, promesse e sacrifici. Una religione feticistica che ha trasformato i soldi da mezzo a fine ultimo della vita, una vita immolata al “godimento”, secondo rituali irrefrenabili, per perseguire possesso, successo, potere, appagamento egoistico.
La perversione del significato vero dell’esistenza.
“Puoi comprare una casa ma non un focolare;
puoi comprare un letto ma non il sonno;
puoi comprare un orologio ma non il tempo;
puoi comprare un libro ma non la conoscenza;
puoi comprare una posizione ma non il rispetto;
puoi pagare il dottore ma non la salute;
puoi comprare l’anima ma non la vita;
puoi comprare il sesso ma non l’amore.”
(Detto cinese)
Se non è più condivisibile la concezione del denaro come “sterco del diavolo”, è però innegabile il ruolo assolutistico, ossessivo e dominante assegnato ai soldi nella nostra vita. Quando i soldi si insinuano nella vita delle persone instillano dubbi, mettono in crisi altre certezze. I soldi si trasformano in un virus che produce una vera e propria malattia. L’uso scriteriato e irrazionale del denaro trasforma le esigenze in dipendenza e i desideri in angoscia.
Ogni cosa ha il suo prezzo e questo si fa coincidere con il suo valore. Al denaro viene affidato il potere di determinare e dare forma al proprio benessere (non solo quello materiale, come è ovvio, ma anche a quello emozionale, affettivo e relazionale), al proprio essere al mondo.
L’espropriazione della persona
“Un sistema falso crolla solo di fronte ad un’esistenza autentica” (A. Siri).
A partire dagli anni ottanta il nostro sistema economico è fondato sul debito contratto con banche private, che sono diventate così padrone delle valute nazionali.
I singoli Paesi, Italia compresa, sono stati esautorati del loro potere economico e sono diventati di fatto terre di conquista, dove si lavora per restituire il debito contratto.
Il lavoro si è fatto sempre più precario, mal pagato, alieno alle inclinazioni personali e ai talenti o i desideri delle persone. Il lavoro si è trasformato in schiavitù economica.
Ciascuno singolarmente, come fosse una batteria, produce “energia” che per lo più viene assorbita dal Sistema di dominio, mentre bisogna accontentarsi del resto per sopravvivere e tirare avanti.
Chiunque provi a ribellarsi, criticare o smascherare queste cose viene deriso, emarginato, contrastato dagli “esperti” prezzolati che spopolano sui media a favore di un Sistema che è ormai divenuto pensiero unico, governo unico del mondo. Tutti devono chinarsi, abbassare la testa (anzi, rinunciare ad usarla!) e accontentarsi: in cambio hanno il vantaggio di lamentarsi e di sentirsi vittime incolpevoli; se poi si adeguano ai criteri imposti da questo assetto politico, smettendo di fatto di cercare piena soddisfazione o realizzazione per le loro esistenze, gli potrà essere data in cambio un po’ di elemosina di Stato (assistenzialismo deresponsabilizzante).
Questo modello socio-economico può ormai contare sulla complicità della maggior parte degli individui, gli schiavi stessi, i quali per paura di perdere la loro razione di sopravvivenza, spacciata per libertà, si trasformano volentieri in carcerieri per i loro compagni di sventura che magari ancora non si sono rassegnati.
Nessuno può sfuggire al controllo del sistema perché il sistema è ormai culturalmente parte di noi. Lo abbiamo interiorizzato e trasformato in sentimenti personali e comportamenti sociali.
È ormai divenuto la nostra invidia, la superbia, l’ira, l’accidia, la vigliaccheria, il buonismo, l’inebetimento cognitivo, la rassegnazione passiva: “tanto non cambia niente!”.
Quando provi odio e invidia per chi non è schiavo come te, in realtà provi disprezzo per te stesso. Una trappola mortale. Ed è proprio così che avviene: il disgusto diviene rabbia, frustrazione impotente, ignavia.
Allora, nulla può cambiare se non cambi tu, in prima persona, se non cambiamo singolarmente, ciascuno di noi, fino a diventare massa critica.
Non avrai una vita migliore se non sei disposto a desiderarla e a combattere per averla.
Smetti quindi di alimentare la parte di te che si arrende e si lamenta e dai forza invece a quella che vuole vivere una vita autentica e soddisfacente. Prendi coscienza della gabbia in cui vivi.
(riel. personale da: A. Siri)
Dall’economia all’etica
“Può essere bene avere il denaro e le cose che il denaro può comprare, ma è bene anche, ogni tanto, controllare ed essere sicuri di non aver perso le cose che il denaro non può comprare” (G.H. Lorimer).
Non è l’economia che può curare questa malattia contagiosa, questa vera pandemia, ma il ritorno all’etica e alla responsabilità delle persone, nella riscoperta del vero significato della vita, degli affetti e delle relazioni fra le persone e fra le persone e le “cose” della vita.
Oggi c’è un primato dell’oggettività sulla soggettività, del materiale sullo spirituale, delle cose visibili rispetto a quelle invisibili (che secondo la cosiddetta scienza obiettiva non esistono nemmeno e che invece, come sappiamo bene tutti, comprendono le cose più importanti della nostra esistenza).
Se la vita è solo l’esperienza che facciamo nella nostra vita terrena e null’altro, allora tutto si trasforma in una corsa folle ad “arraffare” il più possibile, senza freni e senza limiti.
Il motore che muove la vita diventa così un’illusione vuota, un gigantesco delirio di onnipotenza di fronte al Nulla, ossia al vuoto di senso che è la parte nascosta di questa tragica rappresentazione della vita.
Basterebbe pensare che le risorse materiali (oggettive) sono soggette a penuria, mentre quelle umane (soggettive) sono potenzialmente inesauribili. C’è un’altra grande ricchezza sulla quale bisognerebbe ritornare ad investire: la Persona.
Il centro dell’esistenza umana non possono essere le sovrastrutture sociali (che da mezzo per la convivenza umana sono diventati il fine stesso), ma l’uomo nella sua totalità fisica, psichica e spirituale; e quindi le relazioni e il rapporto persona-persona sono il mezzo e il fine ultimo della nostra condizione terrena.
Fra individuale e sociale
”Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo, un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre” (O. Fallaci).
Siamo dunque in un’epoca di grande decadenza morale, culturale, economica. Stiamo attraversando una crisi di portata antropologica. Non è la “crisi” fisiologica tipica di tutte le fasi di transizione che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’uomo, in ogni civiltà.
Siamo ormai velocemente diretti verso un punto di svolta cruciale, un “punto del caos” dove il nostro intero sistema planetario può imboccare una traiettoria verso il collasso, un punto irreversibile di non ritorno verso l’emergere di una nuova struttura sociale fondata su modalità di funzionamento completamente stravolte, soppiantando le fondamenta stesse (economiche, socio-culturali e psico-relazionali) su cui si è sviluppata l’intera civiltà occidentale, come finora l’abbiamo conosciuta.
Sta ad ognuno di noi accompagnare “in bene” questo passaggio, assumendoci con responsabilità la parte che ci compete.
“Dio, dandoci la libertà – che ci fa scegliere tra Lui e il contrario di Lui – fa in modo che la nostra esistenza sia nelle nostre mani” (G. Amorth).
La responsabilità di scegliere fra il bene e il male è solo nostra. È totalmente nelle nostre mani. È inutile dare la colpa a qualcun altro: mogli, mariti, figli, capi, colleghi, Dio e – perfino! – i politici.
Attribuendo agli altri la causa dei nostri problemi, finiamo col dipendere totalmente dagli altri nelle soluzioni e nelle scelte della nostra vita, rinunciando così di fatto al potere (poco o tanto) che comunque abbiamo per migliorare la nostra condizione.
Oggi non basta limitarsi a non far del male. Essere considerate “brave persone” al giorno d’oggi ha paradossalmente una connotazione negativa. Significa sostanzialmente che “sei un fesso”!…
Ogni cosa che accade nella realtà (eventi, circostanze ed esperienze che viviamo insieme agli altri) è il risultato complesso di una “creazione comune”. Che ci piaccia o no, ciascuno ha la sua parte di responsabilità e contribuisce a determinare ciò che quella realtà ci restituisce.
Questo comporta di dover accettare che in ogni azione o evento che ci riguarda, noi abbiamo un qualche ruolo, attivo o passivo, che contribuisce all’esito di quella stessa esperienza.
Assumersi la propria responsabilità significa sostanzialmente riappropriarsi del “potere”, piccolo o grande che sia, che abbiamo per risolvere quel problema.
Il principio della responsabilità (non quello della colpa) è il discrimine fra i diritti e i doveri.
La tendenza prevalente è invece quella di rinunciare a questo “potere”, di pensare di non contare abbastanza, attribuendo così la “colpa” e la responsabilità agli altri.
Se rimaniamo ancorati alla logica della colpa, ci condanniamo passivamente ad una illusoria aspettativa che debba essere qualcun altro ad agire per riparare il problema.
Questo defilarsi, tutt’altro che affrancarci dalla nostra responsabilità, è di fatto una dichiarazione di resa ad ogni possibilità di cambiamento.
Assumersi, in prima persona, la responsabilità della propria vita è l’inizio del cambiamento. Ma per cambiare bisogna scegliere.
L’ora del risveglio
“La vigliaccheria chiede: è sicuro? L’opportunità chiede: è conveniente? La vanagloria chiede: è popolare? La coscienza chiede: è giusto? Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione, che non è né sicura, né conveniente, né popolare ma bisogna prenderla perché è giusta” (M. Luther King).
Tutti dovremmo cercare di essere i protagonisti della vostra esistenza, non le comparse della vita di altri. Per fare questo, occorre allora abbandonare il criterio della colpa (lasciamolo alle religioni o ai moralisti), o la tendenza alla passiva rassegnazione e assumersi le responsabilità personali che singolarmente ci spettano. Solo così potremo discernere con consapevole convinzione ciò che compete a noi, individualmente, dalle responsabilità degli altri o collettivamente.
Dobbiamo perciò con coraggio accollarci la responsabilità che ciascuno di noi ha, personalmente, con maggiore o minore incidenza, a seconda del proprio ruolo sociale, nella ri-costruzione della realtà che ci circonda.
Dobbiamo però agire tutti, ciascuno per la propria parte, assumendoci il compito individuale di migliorare la nostra realtà e le condizioni che orientano la nostra esistenza.
Se non lo facciamo, con tutta probabilità arriveremo esattamente dove siamo diretti: al collasso planetario dell’umano e all’avvento del transumano.
“Non appena avrai scorto un’ingiustizia e l’avrai compresa – un’ingiustizia nella vita, una menzogna nella scienza, o una sofferenza imposta da altri – ribellati contro di essa! Lotta! Rendi la vita sempre più intensa!” (Pëtr A. Kropotkin)
La parola d’ordine diventa allora: riprendiamoci il POTERE che ognuno di noi ha delegato passivamente agli “Altri” (alla politica, alle religioni, alle istituzioni, all’economia, ai media, alla scienza e alla tecnologia), che ci hanno deprivato completamente dei nostri bisogni veri, spacciandoci illusori desideri irraggiungibili.
Con la delega di rappresentanza noi ci siamo di fatto scrollati di dosso la responsabilità sulla vita sociale, divenendo cosi inevitabilmente dipendenti dalla volontà e dalle determinazioni altrui.
Non bisogna aver paura di riprenderci carico della nostra RESPONSABILITÀ: è il passaggio necessario (ma non sufficiente) per riacquistare il senso della vita e della libertà.
Prima ancora che la SOVRANITÀ’ NAZIONALE dobbiamo rivendicare la nostra SOVRANITÀ’ PERSONALE.
A questo punto, il rischio vale la candela. La luce oltre il buio pesto in cui ci troviamo.
Ritornare umani
“Essere se stessi in un mondo che cerca continuamente di uniformarti è la più grande delle conquiste” (R. Emerson).
È evidente che in un mondo che tende sostanzialmente ad uniformare tutti ad un pensiero unico, globale e cosmopolita, cercare di essere se stessi, far prevalere il pensiero critico, coltivare il dubbio di fronte al dogmatismo assolutista di una cultura apparentemente liberale, in cui vale tutto e il contrario di tutto, è un impegno di non poco conto, ma è forse la più prioritaria conquista che individualmente dovremmo perseguire.
Andare controcorrente è impresa da maturo navigante.
“La disobbedienza richiede un’intelligenza di ordine leggermente superiore. Qualsiasi idiota può essere obbediente, anzi solo gli idioti possono essere obbedienti. Non significa disobbedire solo per disobbedire; anche quello sarebbe pure idiota. La persona intelligente si chiederà prima o poi: PERCHÈ? Perché devo fare questa cosa? Se i motivi sono irragionevoli e le conseguenze negative, non voglio essere coinvolto. Così si diventa responsabili di sé” (Osho).
Il prezzo da pagare è quello della libertà, individuale, sociale, collettiva.
La libertà non è fare ciò che si vuole, ma fare ciò che è bene, per se stessi e per gli altri.
Roberto Calia
___________
Trovi ulteriori approfondimenti su questi temi qui:
https://www.robertocalia.it/responsabilita/
https://www.robertocalia.it/liberta/
https://www.robertocalia.it/manipolazione-potere/
https://www.robertocalia.it/relazioni/
https://www.robertocalia.it/identita/
[Immagine: René Magritte “Golconda” (1953)]
ShareAGO
Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano