Salvezza

La cura dell’anima

“Dio disse: ama i tuoi nemici. Io obbedii e amai me stesso”
(K. Gibran)

Il mondo non sta sprofondando per mancanza di risorse materiali. Non ancora perlomeno.
Le potenzialità umane non sono mai state così imponenti, come nell’attuale fase dello sviluppo umano, grazie alle conoscenze ed alla tecnologia praticamente illimitate, che sarebbero in grado di risolvere tutti i problemi materiali della condizione umana e produrre benessere per tutti. Era stata anche la promessa dell’ONU per gli anni 2000.
È invece il “cuore” dell’uomo che non funziona, sull’orlo di un grave scompenso irreversibile.
Il mondo è in crisi, in uno stato quasi “fallimentare”, per la bramosia di potere e di possesso di una minoranza di uomini che aspirano a soggiogare il resto dell’umanità.
È la voracità dell’uomo che si è riversata sul denaro come “feticcio” a vanificare la realizzazione di un mondo più fruibile per tutti.

L’etica è stata sostituita dal diritto, la politica asservita all’economia. La ricchezza ha sostituito la bellezza, il desiderio naturale d’amore è divenuto bisogno compulsivo di sicurezza materiale, trasformando lo scenario sociale in una squallida lotta d’egoismi.
Non c’è più spazio per l’amore, per lo star bene in comunità. E questo conduce ad una sete e ad una carenza che, in una spirale mortale, si cerca vanamente di colmare sempre più nella ricerca del piacere, di beni e strumenti materiali.
L’esito è una catastrofica illusione perché nessuna cosa esterna all’uomo può appagare ciò che appartiene ai suoi bisogni primari, quelli del suo mondo interno.
Il mondo soffre e nello stesso tempo s’offre (con l’apostrofo!) perché necessita di ritornare all’amore come fluido vitale, energia pura, fonte spirituale, disancorandosi dalla zavorra del possesso materiale. Ha bisogno di ritrovare la fiducia nell’uomo e la fede nel suo divenire.

“La sofferenza è dovuta ad un ristagno spirituale, ad una sterilità psichica. Fede, speranza, amore e conoscenza sono ciò di cui ha bisogno il paziente per vivere” (C.G. Jung).
Senza amore, amore di sé, amore dell’altro, amore dell’Esistenza e del Creato, non c’è salvezza.
Come ricordava F.  de La Rochefoucauld, noi non siamo Esseri materiali che hanno bisogno di una spinta spirituale per vivere, siamo Esseri spirituali chiamati a vivere fino in fondo una esperienza materiale.

La scala della vita

“Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada” (J. Hilmann)

Quale è dunque il percorso che può portarci verso la “salvezza” (qualcosa di più della salute e del benessere), attraverso una progressiva “liberazione” dalle oppressioni che limitano, più o meno pesantemente, la nostra esistenza?
Una vera “guarigione”, che è sia fisica che mentale, può venire solo dopo aver spezzato le catene che ci tengono abbarbicati verso il basso, nella materialità della vita.
I problemi “reali” (disagi, malattie, difficoltà economiche o relazionali, ecc.), inevitabili e sempre presenti, fungono da zavorre che ostacolano il percorso di sviluppo del Sé, deviandolo dal suo originario scopo di vita.

Ci sono una serie di passi essenziali che, in una metaforica “scala della vita”, bisognerebbe percorrere per andare verso questa salvezza, che indubitabilmente rimanda alla dimensione spirituale, con una ricomposizione vitale della persona in relazione alla propria individualità e alla propria universalità.
“Muta il dolore in danza” potremmo auspicare: non una “semplice” cura della psiche (intesa come funzionamento del cervello), ma una vera e propria cura dell’Anima per una integrazione della persona nella sua totalità, un individuo evoluto in pace con se stesso, con gli altri e con il mondo (*)

Questi i 7 gradini da percorrere, passo dopo passo, per uno sviluppo personale che va oltre il corpo e la mente, una elevazione che, dal basso verso l’alto, va oltre la materia fino all’anima e allo spirito, in un riallineamento verticale delle dimensioni costitutive dell’essere umano (fisica, psichica e spirituale).

1 – PAURA. Prendere coscienza delle proprie paure ed imparare a padroneggiarle (il coraggio non è assenza di paura, ma la capacità di affrontare le cose, nonostante la paura).

2 – VUOTO. Affrontare l’angoscia del vuoto, attingendo al proprio nucleo primario del Sé, superare la paura originaria della propria fragilità, che si accompagna spesso ad un senso opprimente di mancanza d’amore e ad un incombente pericoloso di “essere abbandonati”.

3 – CONSAPEVOLEZZA. Acquisire una sempre maggiore consapevolezza del proprio Sé, del significato che diamo a noi stessi, agli altri e alle cose della nostra vita.

4 – PERDONO. Perdonare sé stessi e gli altri, superando ogni forma di risentimento e di rancore (non servono, non risolvono nulla, portano solo ad avvelenare chi li porta dentro); il perdono prescinde dal merito degli altri, serve a liberare essenzialmente noi stessi.

5 – GRATITUDINE. Ritrovare il senso di gratuità, la gioia del “servizio” verso se stessi e gli altri, recuperando la gratitudine verso la vita e tutto ciò che ci circonda.

6 – AMORE. Ridare il giusto posto all’Amore, verso se stessi, gli altri, il mondo nella sua essenza.

7 – MISSIONE. Recuperare il senso profondo del proprio “essere al mondo”, la “missione” della propria vita e riprendere il cammino interrotto verso la propria compiutezza.

Difficile tutto ciò? Sicuramente! Impossibile? No, se percorriamo questo cammino con una giusta convinzione, una ferma fiducia e una incrollabile speranza di farcela.
Dobbiamo sostanzialmente ritrovare l’intenzione originaria, la strada della nostra integrità, quella che riconnette la linea del tempo (passato, presente, futuro), nella nostra personale declinazione, unica e irripetibile.
La strada per il benessere passa per questa scalata, da compiere lentamente, un gradino alla volta.
“Quanto manca alla vetta? Tu sali e non pensarci” (F. Nietzsche).
Parafrasando Hillman, ciascuno di noi dovrebbe orientare lo sguardo e recuperare la propria anima. Affrontare le proprie paure e le debolezze, gestire le proprie inettitudini e i propri difetti. Bonificare se stessi individualmente per migliorare il mondo, piuttosto che il contrario. Nel momento in cui noi ci prendiamo carico della nostra l’anima, siamo tutti ininterrottamente in terapia.

La cura dell’anima rappresenta la sola possibilità per una vera Terapia del Mondo.
Non dobbiamo compiere nessun miracolo, ma solo ritrovare la strada per il benessere personale e per costruire un Mondo di Persone.

Reciprocità e salvezza

“Certe persone non vogliono essere salvate. Perché la salvezza implica un cambiamento. E il cambiamento richiede uno sforzo maggiore dal restare uguali. Occorre coraggio per guardarsi allo specchio e vedere oltre il proprio riflesso” (G. Morrison).

Non tutti però vogliono essere “salvati”. Dobbiamo averlo bene in mente, quando ci impegniamo ad aiutare noi stessi e gli altri. Chiedere aiuto e lasciarsi aiutare è una capacità che le persone mature non disdegnano di avere, perché non c’è nulla di male ad aver bisogno degli altri per superare qualche difficoltà della vita.
Questa modalità implica infatti la disponibilità alla reciprocità, nel momento in cui è l’altro ad averne bisogno.
Anche nella coppia, questa mutualità fa parte del normale funzionamento della relazione.

Ci sono invece persone costantemente sofferenti e tendenzialmente lamentose, sempre pronte a cercare di impietosire gli altri. È una richiesta di aiuto solo apparente, perché queste persone non hanno alcuna disponibilità a cambiare, ad uscire da una condizione di perenne penuria e dipendenza dagli altri.
Ci si può prodigare ripetutamente e incessantemente, ma la dinamica è sempre la stessa.
Dopo poco tempo, ritornano a lamentarsi con un nuovo pretesto, senza aver fatto un passo per uscire dal loro immobilismo, per uscire dal pantano in cui loro stessi dicono di trovarsi.
Non c’è quasi mai segno di gratitudine nel loro atteggiamento, perché queste persone coltivano una sottile ambivalenza nei confronti dell’amico di turno, vissuto con invidia come più forte e più fortunato.

Anche se a malincuore, spesso dobbiamo constatare che ogni sforzo per aiutare chi vive abbarbicato alla propria autocommiserazione, al proprio “appassionato pessimismo”, ad una depressione divenuta esistenziale, è destinato a rimanere frustrato e a fallire.
Nulla riesce a scalfire una depressione divenuta esistenziale, un assetto mentale “mortifero” che cova rabbia, risentimento, rivendicazione verso tutti, verso il mondo e la vita in generale.
Arriva allora, prima o poi, il momento di “mollare il colpo”, di abbandonare l’altro al proprio destino. Non si può aiutare veramente chi resiste dal farsi aiutare, perché lontano dal concepire un rapporto simmetrico e paritario.
Proprio nell’estremo tentativo di salvarlo, dobbiamo lasciare all’altro lo spazio (fisico e mentale) e la responsabilità di scegliere in piena autonomia. Restituendogli la responsabilità della loro esistenza, possiamo assistere all’estremo tentativo di aggrapparsi alla vita stessa.
“Alcune persone devono toccare il fondo prima di essere disposte a imparare a salvarsi. E ci sono sempre alcuni che non vogliono correre il rischio di provare” (M. Grad Power).
Se non lo facciamo, non ci potrà essere quella presa di coscienza profonda che precede ogni vero cambiamento. Si rischia di continuare a trascinare l’altro verso una meta che in fondo non intravvede o non vuole (ancora) vedere.
La libertà di essere se stessi, la salute mentale, si conquista solo se accetta il rischio della propria autonomia, liberandosi da ogni dipendenza “tossica”. Una conquista impossibile se non si impara a riconoscere in se stessi tale possibilità, che implica evidentemente la rinuncia all’illusione infantile di poter disporre di un “adulto” che ripara ogni debolezza e risolve i problemi per noi.

Vero è che “io mi salvo solo se attraverso me si salvano gli altri” (Vangelo s. Matteo), ma è anche vero il reciproco: “lavora sulla tua stessa salvezza e non dipendere dagli altri” (Buddha).
Non è egoismo, ma presa di coscienza profonda, riconoscimento effettivo che l’amore per l’altro può nascere solo da un sano amore per se stessi. È il primo e fondamentale insegnamento di Gesù, che attende ancora di essere realizzato su questa terra.
“Ama il tuo prossimo come te stesso”.
L’amore dell’altro non è disgiungibile dall’amore di sé, non è in alternativa ma complementare: tutti siamo “prossimo” agli occhi degli altri! Se lo facessimo tutti, se ciascuno di noi fosse in grado di farlo, il mondo sarebbe già salvo.
Non domani, ma oggi. Qui ed ora.

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(*) “Muta il dolore in danza”: è questo il percorso di evoluzione personale da me proposto. Una esperienza di formazione in gruppo, articolata in 7 incontri, centrati sul lavoro su di sé, nei quali vengono sviluppati i 7 gradini di questa metaforica “Scala della Vita”, con la convinzione che solo la consapevolezza possa diventare lo strumento essenziale per giungere ad una condizione esistenziale sufficientemente adeguata e matura.
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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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