Per realizzare i sogni bisogna svegliarsi
“Sognare attesta in tutti gli uomini un potere creativo, che se fosse disponibile in veglia, farebbe di ogni uomo un Dante o uno Shakespeare.”
(H.F. Hedge)
Il contrario del sogno non è la realtà. Poiché i sogni sono i contenitori dei desideri, all’opposto dei desideri c’è la paura di non vederli avverare.
È la paura che impedisce di realizzare i desideri, di vederli con chiarezza di giorno e non in modo “allucinato” solo di notte, nel sogno, come diceva Freud.
Ad ostacolare i sogni, i desideri, le aspirazioni, gli obiettivi della vita c’è sempre la paura.
Generalizzando possiamo dire che, se l’amore è (o, perlomeno, dovrebbe essere) il flusso che muove il mondo, la paura è il suo vero oppositore: la paura frena o blocca ogni slancio vitale.
Il contrario dell’amore non è dunque l’odio (la faccia perversa dell’amore), ma la paura.
E alla base di tutte le paure, la paura originaria, la “madre”di tutte le paure, c’è la “paura della paura”: l’idea persistente che ci siamo fatti di noi stessi, la paura di non farcela, di non essere capaci, di essere inadeguati o non all’altezza di affrontare le cose; di essere fragili e di fallire.
Così tutto quello che ci “fa” paura assume il potere di inibirci, bloccarci, impedirci di andare verso ciò che desideriamo.
Un potere che le cose in sé non hanno, ma che attribuiamo loro, proiettando “fuori” le nostre insicurezze interne.
Paura
“La speranza non è un sogno, ma un modo per tradurre i sogni in realtà.”
(J. L. Suenens)
Davanti alle difficoltà, ai pericoli scatta sempre la paura, di fronte alla quale abbiamo per istinto due possibilità: “attacco o fuga”, provare a difenderci, combattendo, oppure fuggire, allontanarsi.
Quando predomina la paura, la tendenza è quella di arrendersi, invece di cercare di superare il pericolo, affrontando gli ostacoli che si frappongono al nostro cammino.
La paura, il più delle volte, non è oggettiva, data da un reale pericolo più grande di noi, ma è solo “paura della paura”, ossia ansia anticipatoria, un meccanismo mentale che di fatto diviene paura senza un oggetto esterno. Sostanzialmente è determinata da un senso diffuso di inadeguatezza: è come se la nostra mente, i nostri pensieri ruotassero intorno alla convinzione profonda di non essere capaci, di non essere in grado superare l’avversità di quel momento e, più in generale, gli ostacoli e i problemi che inevitabilmente ci affliggono.
Eppure, non c’è alternativa, non ci sono scorciatoie: “per giungere all’alba, non c’è altra via che la notte” (K. Gibran).
Se non affrontiamo la paura, se non rischiamo, se rinunciamo, il risultato è scontato in partenza: non affrontando la paura, per il timore limitante di non farcela, la paura si trasforma nella “paura della paura”, ci costringe a rimandare, ad evitare il pericolo (vero o presunto che sia).
Così, quello che, col pensiero si temeva come possibilità (la sconfitta o, peggio, la nostra catastrofe), diventa effettiva realtà.
Da eventualità diviene certezza.
Esponendoci di fatto ad un sentimento interno assai più penoso: il senso di vergogna per non essere stati capaci di affrontare l’ostacolo, il “fantasma” che pensavamo fuori ed invece era dentro.
Non c’è altro da fare allora: per realizzare i propri sogni, bisogna svegliarsi!
E per essere lucidi, coscienti e determinati in questa realtà ci vuole tutto il coraggio necessario. Un coraggio realistico, concreto, adeguato alle diverse situazioni, non eroico o da superuomini (e superdonne).
Ma noi, in genere, abbiamo imparato a credere che il coraggio è agli antipodi della paura, è l’opposto della paura.
E siccome la paura è una risposta biologica innata, inevitabile ed onnipresente, adattiva rispetto alla vita, siamo persuasi che anche noi siamo pavidi e codardi e che invece il coraggio sia una virtù di pochi.
Il coraggio “senza macchia e senza paura” è più un fatto di incoscienza e istintualità che non il risultato di atti consapevoli, sostenuti dalla forza dell’intenzione e della motivazione.
La paura si può “vincere” non negandola, accettandola come nostra e trasformandola in nostra alleata.
Il coraggio non è assenza di paura, ma la capacità di affrontare le cose, NONOSTANTE la paura.
Coraggio
“Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.”
(M. Luther King)
Contrariamente a ciò che comunemente si crede, il coraggio non è dunque l’opposto della paura.
Non significa assenza di paura, ma capacità di gestire la paura.
Avere coraggio vuol dire caricarsi sulle spalle tutte le nostre emozioni, le nostre intenzioni, le nostre responsabilità e andare incontro agli ostacoli che si frappongono nella nostra strada; ostacoli che qualche volta sono esterni, reali, ma più spesso sono dentro di noi, paure ingigantite dalle nostre insicurezze, dalla convinzione sbagliata di non saper accogliere e accettare le prove inevitabili della vita.
Quindi: insieme alla paura, non contro, andando verso ciò che realmente desideriamo, per noi, per gli altri e per la nostra vita.
“Blocchi il tuo sogno quando consenti alla tua paura di crescere più della tua fiducia” (M.M. Morrissey).
Il coraggio allora non è annullare la paura, ma piuttosto far prevalere la convinzione che c’è qualcos’altro più importante della paura stessa. È la forza delle nostre intenzioni profonde, delle nostre motivazioni concrete il vettore determinante che può spingerci ad andare oltre le paure.
Qui sta la differenza fra la passività rassegnata, che trova nel lamento il suo rituale consolatorio, e l’assunzione consapevole della responsabilità della propria vita.
Questo segna il passaggio dal pensiero all’azione, dal sogno alla realtà.
Felicità
“Per essere felici ci vuole coraggio” (K. Blixen).
Il richiamo al coraggio sembra più facile da evocare quando siamo di fronte al dolore e alle difficoltà. Ma in che senso invece ci vuole coraggio per andare verso la felicità?
Sembra paradossale ma è frequente incontrare chi inconsciamente ha paura della felicità, una paura subdola, perché negata, camuffata dall’apparente convinzione di desiderare il meglio, di fronte ad una realtà che sembra accanirsi contro di noi.
Aspiriamo all’autorealizzazione, a sviluppare tutte le nostre potenzialità, eppure sabotiamo inconsapevolmente i nostri traguardi, i nostri obiettivi.
Non è patologia, ma una sottile paura del successo, della realizzazione dei nostri sogni.
La felicità ci fa paura perché significa affermare il proprio diritto a vivere, ad amare ed essere amato.
E ciò a livello profondo è vissuto come “egoismo”, come “colpa”.
“Sono proprio sicuro di meritare di essere felice, rendere reali, veri e concreti i miei desideri; che diritto ho ad ottenere più dei miei genitori, i miei fratelli, i miei amici e perfino dei miei nemici?!…”
Essere felice implica dover, sia pure solo simbolicamente, “far fuori” molte persone del nostro passato, andare oltre i sensi di colpa e di onnipotenza.
E poi, altra paura, una volta raggiunta questa agognata felicità, sarò capace di mantenerla, o dovrò sopportare di nuovo il dolore di perderla e di ritornare alla mia precedente condizione?
Al di là del mito odierno della felicità a tutti i costi, che rende psicopatologico tutto ciò, prefigurando l’ideologia delirante del piacere e della felicità come stato permanente di esaltazione, quello che difetta è sostanzialmente il “coraggio di vivere una vita normale”, di aspirare cioè ad una condizione stabile di serenità e di accesso alle gioie della “quotidiana banalità del reale”.
Preferiamo accontentarci di sognare, attribuire colpe e responsabilità agli altri, illuderci di differire in un futuro remoto la conquista del Paradiso, rinunciare di fatto piuttosto che rispettare la via indicata dalla nostra natura interiore ed andare incontro al nostro destino.
“Chi si accontenta gode”…
È la consolazione finale, ipocrisia spacciata per finta umiltà, di chi vuole nascondere, soprattutto a se stesso, il sentimento di vergogna e di mortificazione di sé, per aver rinunciato a realizzare se stesso e perso per sempre il vero “gusto della vita”.
Speranza
“Forse c’è qualcosa di peggio dei sogni svaniti: perdere la voglia di sognare ancora” (S. Freud)
C’è qualcosa di molto peggio dei sogni svaniti, dei successi parzialmente raggiunti e delle illusioni perdute.
È la perdita della volontà di sperare e l’impotenza a crederci ancora.
Il problema non sono le inevitabili cadute, ma la paura di non farcela più a ritrovare il coraggio per rialzarsi e riprendere il cammino interrotto.
Se dunque indietreggi, se non affronti con coraggio la paura, se non perseveri nell’inseguire i tuoi desideri, non potrai mai cogliere l’opportunità di una nuova conquista, di un nuovo traguardo, che è la faccia nascosta della paura.
“Toglietevi le maschere,
affinché i vostri occhi vedano.
Toglietevi le corazze,
affinché i vostri cuori ascoltino.
Toglietevi la paura
e lasciate che le vostre ali si aprano.”
(M. Maini)
La paura può farti prigioniero.
La speranza può renderti libero.
Azione
“I sogni diventano realtà attraverso l’azione. Dalle azioni scaturiscono nuovi sogni, e da questa interdipendenza nasce la più alta forma di esistenza” (A. Nin).
Non ci riferiamo ovviamente solo ai sogni notturni, che pure hanno sempre un loro valore e un loro significato.
Pensiamo alle aspirazioni, alle nostre passioni, alle mete “ideali” (non alle illusioni!) che ci piacerebbe raggiungere.
Di buone intenzioni, come sappiamo, è pieno il mondo.
Non basta l’idea, il desiderio nascente di una cosa perché si realizzi (realizzare nel senso letterale di: rendere reale).
È solo attraverso l’azione che il pensiero (potenza) può assumere una direzione trasformativa (atto).
Attraverso i fatti, i comportamenti, le azioni concrete, il seme del desiderio diviene “atto”, esprimendo così tutta la sua potenza creatrice.
Come dire: per realizzare i sogni bisogna svegliarsi, caricarsi il bagaglio delle proprie legittime aspirazioni e la responsabilità di portarli nel mondo.
OTT
Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano