Disamore

Amore degli altri e stima di sé

Io ammiro voi cristiani: quando vedete qualcuno che ha fame e sete, voi vedete Gesù.
Quando visitate qualcuno che è in prigione o che è malato voi fate visita a Gesù.
Quando accogliete uno straniero o vestite quelli che sono nudi, voi vedete Gesù.(..)
Io trovo tutto questo molto bello, ma quello che non capisco è che voi non vedete Gesù nella vostra stessa povertà.
Perché Gesù è sempre nel povero al di fuori di voi, mentre lo negate nella povertà che è dentro di voi?
Perché passate il vostro tempo a negare le vostre tenebre?
(C.G. Jung)

Un apparente paradosso odierno è la continua centratura SU di sé, non accompagnata da un atteggiamento amorevole VERSO se stessi.
Siamo cioè costantemente ossessionati dal nostro IO (al punto che i discorsi più comuni fra la gente cominciano sempre per “io ho fatto… io ho detto… io penso…), da far pensare che la persona più importante della nostra vita siamo noi (come entro certi limiti dovrebbe effettivamente essere).

Salvo poi constatare invece che non ci amiamo affatto.
Non abbiamo una autostima “sufficientemente adeguata”.
Siamo perennemente insoddisfatti, ipercritici verso noi stessi, mai in pace o contenti di essere al mondo.
Spesso ci sentiamo in colpa di chissà quali “malefatte”, ci disprezziamo e qualche volta francamente non ci sopportiamo.

Siamo sempre in attesa di altro, ben altro… Siamo ansiosi di raggiungere, sempre dopo però, in un futuro ipotetico, quello che (immaginiamo) ci renderà finalmente felici.
Riserviamo così a noi stessi un trattamento che non riserviamo a nessuno, forse neanche ai nostri nemici.

Con gli altri invece, amici, parenti, vicini e persino sconosciuti, siamo prodighi di buoni consigli, di compassione, di comprensione, di giustificazioni ed incoraggiamenti.
Siamo ben disposti verso tutti, meno che verso noi stessi.

A parte che è poco credibile che chi non sa occuparsi adeguatamente di sé stesso, possa poi “magicamente” essere capace di prendersi cura degli altri, la mancanza di un equilibrato e positivo rapporto con se stessi è alla base della possibilità di costruire buoni rapporti con gli altri.
Se infatti, seguendo o meno Gesù, noi “amiamo gli altri come amiamo noi stessi”… siamo a posto!
Non c’è speranza di salde relazioni.

Dobbiamo allora imparare a recuperare un rapporto di conoscenza e di amicizia con noi stessi.
Sperando poi di arrivare ad accettarci profondamente, a stimarci e a “piacersi”.
Per farlo dobbiamo essere disposti a vedere il nucleo narcisistico presente, in modo apparentemente paradossale, in questo deficit di amore di sé.

Comunemente il narcisismo è considerato come un eccesso di amore verso se stesso.
Questo è vero solo in apparenza.
Chi ha una buona autostima (narcisismo sano) non ha bisogno di ostentare nulla.
I successi o gli insuccessi sono accettati come normali possibilità della vita.
Chi invece ha un deficit della stima di sé (narcisismo patologico, con diversi livelli di gravità) ha bisogno costantemente di essere gratificato, di ricevere conferme dagli altri.
Deve colmare un vuoto affettivo che ha dentro.
Soffre quindi di iponarcisismo (sano) e per “nutrirsi” affettivamente è costretto a dipendere dagli altri.

Su questa base si comprende l’atteggiamento di chi si prodiga per gli altri, omettendo di occuparsi di se stesso.
Spera così di ricevere dagli altri quello che gli manca.
Ama cioè gli altri per amare se stesso!
Un ribaltamento completo dell’amore altruistico.

La modalità più adulta e matura dell’amore paritario fra persona e persona è quello che interpreta il principio “ama gli altri come te stesso”, nel suo conseguente corollario “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te!”
“Non preoccuparti se gli altri non ti apprezzano.
Preoccupati se tu non apprezzi te stesso.”
(Confucio)

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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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