Ego & selfie

Narcisismo dell’apparenza

“Basta parlare io.
Ora tocca a te.
Cosa ne pensi di me?…”

In fondo in fondo, in cuor suo, chi più chi meno, ognuno di noi pensa di essere il migliore.
Non c’è niente da fare: l’ipertrofia di sé è la vera pandemia dilagante dei nostri tempi.
Dovunque ti giri, in casa, fuori casa, nel lavoro, nel tempo libero, in ogni contesto sociale, il pronome “io” è la parola più nominata ed invadente.
Nella quotidianità dei nostri giorni, l’egocentrismo è la modalità più tipica di porsi nei rapporti con gli altri.
Siamo tutti un po’ soggetti dall’Io gonfiato: spalle dritte, pancia in dentro, ego in fuori!
Stiamo diventando degli “egomostri”! (G. Soriano).

“Cercando di sembrare ciò che non siamo, cessiamo di essere quel che siamo” (Ernst Junger).
Il mondo d’oggi è sempre più sotto il dominio dell’apparenza.
Non vale più tanto essere, quanto apparire; non manifestare ciò che siamo, ma rappresentare ciò che vogliamo sembrare.
Personificando questa odierna ossessione possiamo figurarla in tre caratteristiche che appaiono irresistibilmente desiderabili.
Come un tarlo, sono presenti stabilmente e operano rovinosamente nella nostra mente.
Tant’è che Osho li chiama “i tre idioti”! I tre idioti sono:
– il BELLO
– il FELICE
– il SAPIENTE.
Questi aspetti sono ormai un riferimento universale e pervadente per mettere a punto la nostra rappresentazione sociale, l’immagine in “bella mostra” che ci piace esibire pubblicamente di noi stessi.
Tutte le uscite pubbliche, le performance a cui nessuno (uomini, donne e altri generi) riesce più a sottrarsi, ruotano intorno a questo copione mondano.

“Dovunque mi arrampichi, io sono seguito da un cane chiamato Ego” (F. Nietzsche).
Guai a pensare di non essere attraente, di non essere abbastanza gradevole e “figo/a” agli occhi degli altri (non importa poi se, in segreto, ci facciamo schifo o non ci piacciamo affatto!…).
È sconveniente non mostrare di essere “abbastanza” felice e contento/a della propria vita (anche se, finita la serata, sappiamo di rientrare nella nostra miserevole quotidianità o nella nostra depressa rassegnazione esistenziale).
Quanto a cultura e argomenti di conversazione, non sia mai che sia costretto ad ammettere (anche solo a se stesso/a) che di un certa “cosa” non so proprio nulla, e che forse farei solo bene ad ascoltare ed apprendere!
Niente da fare!
Ognuno, in cuor suo, continua a coltivare il sogno (l’illusione direi) di essere il “migliore”.
Un mondo in cui tutti sono i “migliori”.
Infatti: i risultati sono sotto gli occhi di tutti!…

“Non credi che sia strano che una persona abbia fotografie di se stessa in ogni dove? È come se stesse cercando di dimostrare che esiste” (C. Bushnell).
Un segno tangibile di questo mania sociale è l’ossessione del selfie.
È come essere dominati da un bisogno imperante di affermare se stessi agli occhi degli altri, cercando avidamente conferme ed approvazioni, che sostanzialmente non troviamo in noi stessi.
Come un pavone che ostenta la sua coda sfavillante, il narciso autoreferenziale usa gli altri come “oggetti-Sé”, come prolungamenti di se stesso e non come persone distinte e autonome.
Questo narcisismo “malato” è nella sua essenza una sostanziale carenza di quel “sano narcisismo”, che è alla base di una buona autostima.
Altro non è quindi che la spia rossa del livello di autostima, del deficit di quel sano sentimento di sé come soggetto integrato, equilibrato e rispettoso degli altri.
Il narcisista per sopravvivere psicologicamente necessita di “alimentazione forzata”, fatta di faticosi sforzi esibizionistici, di performance eclatanti, di successi effimeri che vengono dal “piacere agli altri” (la misura sono i like…).

Il narcisismo si fonda essenzialmente sull’incapacità del soggetto di alimentare il proprio Sé, nutrire autonomamente la propria autostima e sostenere il proprio equilibrio.
Il narcisista sente continuamente il bisogno di essere ammirato e ricerca ansiosamente riconoscimento e conferme dagli altri: lusinghe che non alimentano il vero Sé ma il falso Sé, la parvenza di ciò che vorremmo essere (belli, felici e sapienti: i tre idioti di Osho!).
Le relazioni affettive, che riesce ad instaurare grazie al fascino che mette in atto per irretire il partner, servono al narcisista esclusivamente per sostenere queste dinamiche ambivalenti.
Non ama l’altro come altro-da-sé ma come oggetto-Sé, uno specchio o un’estensione di se, funzionalmente come un “serbatoio” da cui alimentare se stesso.
L’altro non è amato in quanto tale, ma è ricercato per sostenere se stesso, secondo il principio “io ho bisogno di essere amato e attraverso di te, in realtà io amo me”.
Un meccanismo di difesa ipertrofico per sottrarsi ad un penoso senso di vuoto interiore, di privazione, di abbandono e di mancanza, che lo accompagna costantemente.
Il narcisista non è pieno ma vuoto di Sé, la persona normale è piena in sé.

Rituale per una buona giornata

“Beati quelli che sanno ridere di se stessi, perché non finiranno mai di divertirsi” (T. Moore).

Attraverso le mie esperienze personali e professionali ho imparato che il narcisismo “malato” può essere addomesticato in narcisismo “sano” (“egoismo maturo”, autostima, chiamiamolo come vogliamo…).
Ho elaborato una sorta di rituale simbolico per cominciare una “buona” giornata.
Allora, al mattino, guardandomi allo specchio mi sussurro: “Vai. Sei grande!”.
Una esortazione che, per mero equilibrio mentale, è bene pensare solo al mattino, appena svegli.
La sera, infatti, prima di andare a letto, mi riguardo bonariamente allo specchio e risolutamente mi dico: “Ma va’ a dormire!…”

Non facendolo, l’eccitazione narcisistica potrebbe impedirmi di prendere sonno,
il riposo dei “giusti” e dei “poveri in spirito”, quelli che sono nel mondo ma non sono di questo mondo, e che sono in pace con la propria coscienza.

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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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