La discesa politica del narcisismo

Narcisismo individuale e populismo

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”
(da: “Il gattopardo”)

Uscendo dalle mie consuete competenze cliniche, mi avvento in un territorio ostile, quale sembra essere diventato quello della politica e delle istituzioni. Eppure, in passato la psicologia e la psicoanalisi avevano prodotto grandi contributi teorici ed applicativi alle organizzazioni che gestiscono le istituzioni politiche stesse; ma tant’è, la generale decadenza che caratterizza i tempi che stiamo attraversando sembra aver offuscato del tutto tali apporti, in particolare quelli della psicosocioanalisi, che pur erano sembrati tanto proficui e promettenti verso un equilibrio del complesso rapporto fra individuo, gruppi e collettività.
Le considerazioni odierne non hanno alcuna pretesa di richiamarsi a tali studi, ma sono semplici opinioni personali di un cittadino, un po’ disincantato dalla situazione sociale che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, ma ancora interessato alle cose del mondo. Sono opinioni del tutto personali, senza alcuna pretesa né di verità, né di approfondimento competente, semplici “pensieri senza un pensatore”.

Squallido spettacolo quello cui stiamo assistendo. È bastato che il presidente della repubblica annunciasse lo scioglimento delle camere (con una tempestività sospettabilissima) che si sono immediatamente aperte le danze per una nuova rincorsa alle poltrone parlamentari.
Niente di nuovo sotto il sole, per carità; quello che è assolutamente insolito e storicamente rilevante è che, proprio nella calura di una estate tutta italiana, con una urgenza atipica per la politica del nostro paese, si indicano le elezioni politiche per il rinnovo di un parlamento – che dall’avvio della legislatura (tre governi) si è tenuto insieme solo in ragione di emergenze e contingenze extraparlamentari – dando così avvio ad una frenetica campagna elettorale balneare.
Le modalità, che poi la burocrazia tutta italiana si è inventata per l’iter di formalizzazione dei partiti e delle liste in lizza, conferma l’impressione di una vera e propria “truffa istituzionale”, messa in atto dal Sistema politico dominante (l’insieme dei partiti già dentro il palazzo, presunta maggioranza e falsa minoranza insieme).
Bisogna perlomeno interrogarsi profondamente, interpellando la propria coscienza individuale, quella civica e di appartenenza collettiva, sul VALORE MORALE DI QUESTE elezioni, le prime dopo oltre due anni di emergenze drammatiche, di sconvolgimenti psicologici, relazionali e sociali terribili e che quindi, a maggior ragione, dovrebbero rappresentare una rinascita del senso collettivo del vivere come persone in rapporto con altre persone dentro una Comunità.
Il dubbio che deve assillarci, da qui al 25 settembre prossimo, è proprio sul significato autentico della “appartenenza” e della (presunta) “libertà di scelta”.
È una riflessione, personale e collettiva insieme, che dobbiamo fare – sul piano della ragione ma anche su quello dei sentimenti – lungo l’asse “gerarchico” della MORALE (“è bene / è male?”), dell’ETICA (“è legittimo / non è legittimo?”) e del SENSO CIVICO (“è mio diritto-dovere o non lo è?”).

Se dunque l’esercizio del voto in una democrazia compiuta è (dovrebbe perlomeno essere) l’espressione massima dell’autodeterminazione del singolo cittadino e del potere che la Res-pubblica gli concede di poter liberamente contribuire alle scelte per la gestione del bene comune, cosa può significare proprio sul piano morale, etico e sociale andare a votare sapendo già in partenza che sostanzialmente non cambierà nulla?
Non potrebbe essere più altamente morale rifiutarsi di votare (nelle forme legittime che le stesse leggi consentono ai cittadini), interpretando la possibilità di scelta proprio nel senso di espressione attiva e consapevole di un completo dissenso rispetto a ciò che il “Sistema” (l’apparato di potere politico e burocratico come Istituzione Pubblica) gli sta proponendo, e che il cittadino stesso interpreta come completa privazione del suo potere di scelta?
Qual è infatti lo scenario di illusoria democrazia che viene sottoposto al cittadino?
Gli schieramenti contrapposti sono di fatto le due facce della stessa moneta: qual’è la libertà di scelta per il cittadino, (testa o croce), sapendo che il valore di quella moneta (l’euro peraltro…) è in ogni caso lo stesso?
Questo, mi direbbe qualcuno che crede di essere mentalmente libero, può valere per i partiti storici, le rappresentanze che già occupano gli scranni parlamentari, che hanno dato dimostrazione di essere in realtà più legati alle poltrone che a rappresentare i cittadini, costituendo un baluardo di fatto compatto, da destra a sinistra (e viceversa), a difesa del sistema istituzionale della Politica, che così assicura e perpetua la sua autoconservazione (con i lauti vantaggi personali per chi nel palazzo siede).
Crollati i vecchi steccati ideologici, sostanzialmente ormai tale apparato (il “sistema”) si fonda sul neoliberismo globalista, con qualche lieve sfumatura formale su alcuni temi (sovranità, politica interna, microeconomia). Un’alternanza che non è sulla visione e sulla prospettiva del vivere comune, ancorata ad un globalismo annichilente di ogni autonomia; e ciò a valere sia per i confini individuali, quelli dell’identità personale, sia per quelli nazionali e culturali.

Sullo scenario emergenziale post-pandemico (quello relativo al covid, anche se se ne profila a seguire un altro, affiancato a quello bellico, ancora incombente), le elezioni di oggi ci offrono in effetti un ventaglio di (apparenti) possibilità altre: una pletora di partitini e neoformazioni, molti dei quali come esito dei movimenti spontanei di popolo che hanno espresso il dissenso proprio sulla gestione della pandemia (lockdown, limitazioni dei diritti e delle libertà, vaccinazioni obbligatorie o “obbligate”, green pass). Tutte “forze” che – non si sa per paradosso o per velleitarismo – si sono definite (in modo autopoietico ed autoreferenziale) “antisistema”.
Reclamato a furor di popolo un appello, cogente e fin troppo evidente nella sua necessità, verso una unitarietà, perlomeno sul piano elettorale se non proprio politico o di ideali e prospettive future, tutte queste “nuove forze” (ma proprio tutte, con maggiori o minori distinguo) si sono dichiarate convinte, imputando agli altri la responsabilità della mancata unione (accomunati nel ritornello “non siamo noi a non volere l’unificazione, ma sono gli altri”…).
Curioso e penoso teatrino tipico del sistema della politica che, a parole, si dice di combattere. Segno dell’incipiente narcisismo (ormai tratto di base della nostra cultura e della struttura sociale contemporanea) che affligge i vari, presunti o aspiranti, leader delle forze in campo; incapaci di gestire le proprie, pur legittime, aspirazioni personali e di subordinarle sul serio all’interesse collettivo, metterle cioè a servizio di un vasto movimento di popolo che chiede solo di essere guidato; incapaci di fare un passo laterale (non indietro) per passare da un leadership carismatica (di fatto inesistente) ad una leadership condivisa.
Questo è ciò che sarebbe servito al “popolo del dissenso” (quello delle piazze), che avrebbe implicato il superamento di un narcisismo immaturo (fondato sull’apparenza e sull’inconsistenza) verso un sano narcisismo maturo (fondato sull’essenza e sulla consistenza), la transizione dall’autoreferenzialità personale (fragile in quanto tale) ad una condivisione autorevole di intenti, forte della sua stessa coesione.
Ad oggi le proposte antisistema (pseudo antisistema, affermo con convinzione evidente) che il frastornato elettore si troverà a poter eventualmente scegliere sono quattro o cinque (per fortuna nel frattempo qualche “accozzamento” fra sigle e partitini si è fatto e disfatto…).

Considerazioni morali sulle elezioni

Al di là del dubbio, epistemologicamente legittimo, sulle finalità autenticamente antisistemiche di queste neoformazioni (non sarebbe stato più onesto e trasparente proporsi come istanze revisioniste dell’attuale assetto politico-sociale, niente affatto destabilizzanti ma sostanzialmente miranti a mantenerlo in piedi, “questo” sistema?!), la mia perplessità rimane sul senso di queste elezioni e sull’ingaggio alla (apparente) “tenzone” sociale, avviato così “democraticamente” da un sistema ormai decadente e perennemente sull’orlo di una crisi irreversibile.
Il dubbio è a fondamento della verità, come i grandi maestri del pensiero critico hanno (invano a quanto pare) insegnato (da Socrate, a Cartesio, Nietzsche, Marx, Freud, Ricoeur, Popper, Gadamer…).
Per questo io mi interrogo: ma è giusto, è lecito, è mio dovere accettare di giocare una partita con le regole già falsate in partenza, con le modalità stesse che chi organizzato la partita ha stabilito? Che possibilità ho io singolo cittadino di poter “liberamente” scegliere?
Mi riferisco qui evidentemente a tutti gli elettori che – come me, a 70 anni suonati – non si riconoscono più nelle linee seguite dai partiti tradizionali e che non sono ancora del tutto convinti della bontà delle proposte alternative, a partire dall’ambiguità della autodefinizione di “antisistema”, che si dimostra falsa, illusoria e francamente opportunistica.
Ecco, io dubito fortemente che le accozzaglie improvvisate che si sono candidate a “queste” elezioni siano forze autenticamente antisistema, che mirano cioè ad una rifondazione costituente dell’ormai marcio sistema politico italiano, che dovrebbe invece essere radicalmente soppiantato e sostituito con un nuovo soggetto sociale costituente, sorto nello stesso terreno fertile della vecchia Costituzione del nostro Paese.
Il voto è troppo importante per relegarlo a sporadico adempimento civico, che di fatto conferma la trasformazione da cittadino a suddito, obbediente alle norme dello Stato (che poi non dovrebbero essere altro che “regole” poste nell’interesse sia dell’individuo che della collettività). È una conquista, un diritto/dovere cui è impossibile rinunciare.
Il dubbio si pone dunque soprattutto su “queste” elezioni, nell’attuale momento storico e sociale del nostro Paese: certo che bisognerà ritornare a votare, ma solo quando le regole e le condizioni lo permetteranno, quando cioè il voto tornerà a rappresentare per il cittadino una vera possibilità di scelta.
Astenersi oggi può significare dunque una scelta, libera, consapevole ed orientata, per riprendersi questo “potere”, cominciando proprio dallo scegliere fra votare e non votare, possibilità date dalle stesse regole democratiche.
Astenersi oggi (non in generale come posizione passiva o di disimpegno scettico dall’appartenenza sociale) non equivale ad ignavia, ignoranza o, all’opposto, ad altezzoso snobismo; significa invece compiere attivamente una scelta, mandare un segnale forte, dare voce ad un dissenso radicale che in questi ultimi anni si è manifestato nel cuore del popolo.
L’astensione, questo tipo di astensione costruttiva, che mira cioè ad una nuova costituente, attraverso una delegittimazione morale prima ancora che giuridica dell’Istituzione politica nel suo complesso, è la sola scelta autenticamente e profondamente antisistemica che il popolo ha oggi la possibilità di esprimere in massa.

Le emergenze, vere o presunte, che il sistema ha fin qui utilizzato a piene mani per orientare, manipolare e condizionare il sentire, il pensare e l’agire delle persone, possono diventare così il terreno per cogliere e coltivare la sola, vera e reale emergenza che interessa tutti i cittadini, ossia l’emergenza democratica di rifondare costituzionalmente l’assetto politico ed istituzionale del nostro Paese.

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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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