Pensieri

I tarli della mente

“I pensieri sono come l’oscurità, entrano soltanto se non c’è luce. La consapevolezza è un fuoco. Più diventi consapevole, meno pensieri entrano in te.”
(Osho)

Al contrario dei problemi reali, che debbono essere sempre affrontati senza procrastinare, i pensieri non possono essere controllati coscientemente.
Non mi riferisco alle idee che hanno una intenzionalità e una direzione di senso, ma al divagare obbligato della mente, in un lavorìo continuo senza oggetto, una scorribanda estenuante senza meta.
Quando la mente funziona in questa modalità automatica, i pensieri possono diventare assillanti, persistenti e pervasivi, al punto di condizionare scelte, azioni e comportamenti. In tal senso viene usata la metafora del tarlo mentale, che corrode, in modo invisibile e fastidioso, il nostro cervello. Come i tarli veri, spesso il tarlo mentale è difficile da sradicare.

La mente scimmia

Una concezione buddhista della mente descrive il processo del pensare come una scimmietta che salta di ramo in ramo su un albero. I buddhisti chiamano mente scimmia il chiacchiericcio, la voce interna presente permanentemente, in modo negativo, nella nostra mente.
Impossibile fermarla, impossibile starle dietro; così come è inverosimile provare a verbalizzare i pensieri, sono più veloci e sfuggenti delle parole.
Questi “pensieri senza pensatore” invadono la nostra mente, spesso in modo coatto, attirano ossessivamente la nostra attenzione, costringendoci quasi ad inseguirli, senza riuscire a bloccarli.
La trappola mentale in cui cadiamo comunemente, è quella di identificarci con i nostri pensieri, prenderli alla lettera, scambiarli come contenuti oggettivi della realtà.
Se io penso una cosa, questa non è necessariamente vera, reale; se penso di essere Napoleone, non solo non lo sono, ma sono pure schizofrenico (senza saperlo!).
Se la mia mente mi dice che sto male, che sto per morire (come, ad esempio, negli attacchi di panico), non è affatto detto che quello che sto pensando stia effettivamente accadendo (nessuno, infatti, è mai morto per una crisi di panico).
Invece noi siamo soliti far coincidere quello che pensiamo con la realtà oggettiva.
Rimanendo così in balia dei nostri pensieri, in un continuo ed estenuante dialogo sub-vocale con noi stessi.
Questo dinamismo caotico è come un tarlo che ha occupato la nostra mente!

Poiché i pensieri non si possono cancellare, la cosa più saggia è lasciarli fare. Dice un proverbio zen:
“Rincorrere un cattivo pensiero è un malanno. Non continuare ad alimentarlo con altri pensieri è il rimedio.”
Quando un pensiero negativo persiste nella mente, dobbiamo riconoscerlo e quindi lasciarlo scivolare via, senza prestargli attenzione. Senza giudicarlo, classificarlo, cercare di imbrigliarlo razionalmente. È più forte, vince lui!
Bisogna trattarlo come una domanda a cui non è affatto necessario dare risposta, come un “pettegolezzo”, che bisogna ascoltare distrattamente e lasciar cadere gentilmente nel vuoto.
“Da un orecchio mi entra, dall’altro mi esce” …
I pensieri sono comunque nostri, non dobbiamo combatterli, non possiamo “ammazzare” quella scimmietta iperattiva (o i tarli, se li vediamo così); ci appartengono, anche se molto spesso finiamo per essere noi che apparteniamo a loro.
Nella concezione orientale, la mente scimmia è uno stato di mancanza di consapevolezza (mindlessness), che è l’esatto opposto della mindfulness, pienezza di consapevolezza. Il segreto di un buon funzionamento mentale è dato dunque dalla piena presenza mentale nel qui e ora. La consapevolezza è il solo modo per fronteggiare la mente scimmia e il pensiero coatto.

Non è la via razionale il giusto modo per cogliere il senso e andare in profondità di noi stessi.
La via maestra verso l’inconscio restano i sogni e la consapevolezza sulle modalità con cui noi ci poniamo nelle relazioni o reagiamo alle cose della nostra vita.
Sono soprattutto le emozioni che ci possono portare ai nostri veri bisogni.
La consapevolezza presente di quel vagare del pensiero ci consente allora di distinguerlo dalle emozioni, che dobbiamo invece imparare a riconoscere e a cui è sempre necessario dare voce, per evitare che affondino nel corpo, si trasformino in sensazioni somatiche e disagio.
Cogliendo le emozioni possiamo cercare di trasformare i nostri bisogni in desideri.
Se il pensiero è “fuori luogo”, senza senso, inopportuno in quel momento, avendone consapevolezza, non è necessario dargli seguito.
Da assillanti ed invasivi, i pensieri coatti pian piano si attenuano, fino a sparire sullo sfondo della coscienza.

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Circa l'autore:

Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano
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