La fiducia non ammette dubbi
“Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato.”
(Eraclito)
“La speranza è l’ultima a morire!”, recita un proverbio popolare assai abusato.
Secondo l’antica saggezza (da cui discendono tutti i proverbi) vuol dire che c’è sempre un’altra possibilità, che non bisogna mai rinunciare a credere che le cose possano andare bene, anche quando tutto sembra precipitare.
La speranza non consiste semplicemente nella aspettativa che qualcosa andrà bene, ma nella convinzione profonda che “quel” qualcosa abbia veramente senso, indipendentemente da come poi, di fatto, andrà a finire.
“La speranza è un sogno fatto da svegli” (Aristotele).
La speranza è in pratica ciò che ci proietta verso il futuro, la declinazione nel tempo delle nostre aspettative positive. Fin qui tutto ok!
Un’altra affermazione comune su questo tema è quando, auspicando che qualcosa vada per il verso giusto, sussurriamo: “speriamo!”.
Ma se la speranza è sempre implicita, “dura a morire”, perché abbiamo bisogno di esorcizzare il destino, con l’esortazione magica “speriamo”?
Quando diciamo “speriamo!…” (di solito ad un interlocutore che sta cercando di incoraggiarci), esprimiamo tutto il nostro scetticismo, di fatto la fiducia è già vacillata, non crediamo affatto che le cose finiranno bene.
“Speriamo!?” esprime tutti i nostri dubbi e la nostra impotenza circa il destino delle cose.
Sostanzialmente stiamo “sperando” che qualcun altro (Dio, le Autorità, la buona volontà altrui) intervenga per dirigere le cose per il giusto verso.
Questo di fatto significa che abbiamo “perso” la speranza, che non ci crediamo veramente, tanto da dover “sperare” negli Altri. E questo non è ok!
La fiducia in noi stessi, verso il nostro destino è essenziale per orientare le nostre scelte, affettive, relazionali, sociali.
Per chi è religioso, la Fede non può ammettere dubbi: o ce l’hai o non ce l’hai.
“La fede è il fondamento delle cose che si sperano e la prova delle cose che non si vedono” (Eb 11, 1).
Chi ha fede si affida a Dio, crede fermamente nel disegno che gli viene riservato dalla provvidenza divina.
Per chi credente non è, la Fiducia si pone allo stesso modo: o c’è o non c’è. Pur senza una fede religiosa, la fiducia deve svolgere la stessa funzione proattiva.
Non si possono avere dubbi ed incertezze sul senso ultimo del proprio “essere al mondo”: la nostra dignità di persona è necessaria e sufficiente a garantirci un “giusto” destino.
La vita materiale che conduciamo è parte di questo destino, ma non è il tutto.
Ed invece sia per gli uni che per gli altri, ormai sembra prevalere il dubbio, la sfiducia, ossia l’abbandono della speranza.
Poi però ci sorprendiamo quando le cose non vanno secondo le aspettative.
In effetti le cose vanno come devono andare: se vuoi una cosa ma non ci credi davvero, perché meravigliarsi se poi arriva un’altra cosa?!
Che ne siamo consapevoli o meno, ognuno di noi ha una parte importante nella costruzione della realtà, siamo tutti in qualche modo co-creatori di ciò che ci accade: la realtà è il risultato combinato delle azioni e dell’apporto di tutti.
Ma se personalmente non ci crediamo, la “nostra” realtà ce la costruiscono gli altri.
Di fronte alle difficoltà infatti prevale spesso la tendenza a farsi dominare dalla paura, ad arrendersi, invece di cercare di superarle, affrontando gli ostacoli che si frappongono.
Il problema non sono le inevitabili cadute, ma la paura di non farcela più a ritrovare il coraggio per rialzarsi e riprendere il cammino interrotto.
Se non si affronta la paura, se non si rischia, il risultato è scontato in partenza.
Non affrontando la paura, per timore di non farcela, la paura si trasforma nella “paura della paura”.
Quello che si temeva solo come possibile (la sconfitta), diventa effettiva realtà. Da eventualità diviene certezza.
Affrontando con coraggio la paura (“il coraggio non è assenza di paura, ma la capacità di affrontare gli ostacoli, nonostante la paura”) potremo cogliere l’opportunità imprevista, che è la faccia nascosta della paura.
La paura può farti prigioniero. La speranza può renderti libero. Che fare allora?
“Sursum corda!”, dicevano i latini: in alto i cuori, risolleviamo la speranza!
C’è qualcosa di molto peggio dei sogni svaniti, dei successi parzialmente raggiunti e delle illusioni perdute.
È la perdita della speranza, della volontà di crederci ancora. È l’impotenza a vedere oltre, ad andare avanti, al di là degli ostacoli.
Dobbiamo dunque osare, senza soffocare la forza del desiderio con il dubbio. Non si deve desiderare a metà, a rate!
Se vuoi qualcosa, se pensi di meritare quella cosa, fa’ in modo che ti arrivi, non nutrire dubbi e sfiducia: vai e prenditela!
Altrimenti arriva esattamente quello che hai pensato: sfiducia e negatività.
I desideri, come i sogni, non possono essere “relativi”, non devono essere minimizzati, snaturati, svenduti. Sogna in grande (in HD!…) e desidera senza falsa umiltà.
“Mira alla luna, se la manchi atterrerai sulle stelle!”
Fa’ che sia la vita a ridimensionare comunque le tue aspirazioni, ma non soffocarle tu stesso sul nascere.
Non devi fare miracoli (a quelli ci pensa Dio, se ci credi), ma solo prenderti carico della tua intenzione e portarla al suo destino, qualunque esso sia.
“Nel mondo spirituale, non avere difese è l’unico modo per essere al sicuro” (A. Fabrizio).
Possiamo nutrire con la ragione (la nostra mente) dubbi, incertezze, paure, ma non debbono mai mettere in discussione il “cuore” del problema di vivere.
Spirito guerriero
“Siamo tutti guerrieri nella battaglia della Vita, ma alcuni conducono, altri seguono” (K. Gibran)
Le avversità non sono solamente inevitabili ma sono anche utili, portano in sé l’opportunità del divenire.
Mettono le persone in condizioni di cercare oltre la realtà di tutti i giorni e le mettono in contatto con il loro vero Sé. Nella disperazione le persone possono tirar fuori il meglio, quella forza interiore sopita che tutti abbiamo dentro. Prendono coscienza che tutto può essere modificato, anche quello che a prima vista sembrava impossibile cambiare.
La sofferenza non è determinata solo dalle difficoltà in sé, ma soprattutto dal nostro modo personale di reagire alle avversità. Essendo la sofferenza un prodotto del nostro mondo interno, è in nostro “potere” affrontarla. Solo noi possono allora cambiare le cose, attingendo alle nostre più profonde potenzialità .
“Ogni guerriero della luce ha conosciuto la paura del combattimento. Qualche volta ha tradito e mentito. Ha imboccato un cammino che non era il suo. Ha sofferto per cose prive di importanza.
Ha mancato ai suoi doveri materiali e spirituali. Ha detto sì quando avrebbe voluto dire no.
Ha ferito qualcuno che amava. Ha dubitato di essere un vero guerriero della luce.
Ma proprio per questo è un Guerriero della Luce: perché ha attraversato queste esperienze e non ha perduto la speranza di poter essere migliore” (riel. da P. Coelho, “Manuale del guerriero della luce”).
“La speranza non è un sogno, ma un modo per tradurre i sogni in realtà” (J. L. Suenens).
“Qualche volta però anche un guerriero cade preda dello scoramento. Il guerriero prova sofferenza e confusione, perché sa di non aver ancora raggiunto la meta che si era prefissato.
Anche se in quel momento pensa che niente riuscirà a risvegliare la passione originaria che sembra ormai essersi affievolita, è caparbio e non perde del tutto la speranza.
L’ora più buia è quella che precede il sorgere del sole. Non abbandona la missione che ha intrapreso. Mantiene così la posizione conquistata, in attesa che sopraggiunga qualche avvenimento a restituirgli il vecchio entusiasmo.
Così, quando meno se lo aspetta, una nuova porta si apre. E il guerriero riprende il viaggio”. (riel. da P. Coelho).
“Lo spirito si rivela a tutti con la stessa intensità e coerenza, ma solo il guerriero è costantemente sintonizzato con tali rivelazioni” (C. Castaneda).
La forza del guerriero non è quella dell’uomo comune. L’uomo comune cerca negli altri, all’esterno, la certezza e la percepisce come sicurezza di sé. Il guerriero cerca invece l’ispirazione dentro di sé, e la trova nella propria umiltà e nella propria convinzione.
Solo il guerriero che persevera nella lotta arriva a comprendere che il ripetersi delle esperienze dolorose ha un unico significato: insegnargli ciò che non vuole apprendere, per costringerlo finalmente a superare ciò che ostacola il suo cammino e a ritornare vittorioso sulla via di casa.
L’uomo comune dipende dai suoi limiti, il guerriero dipende solo dall’infinito. Con tale speranza vede l’invisibile, tocca l’intangibile, raggiunge l’impossibile.
L’impossibile
“Secondo la tecnica aeronautica, il calabrone non potrebbe volare, a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare.
Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare” (I.I. Sikorsky).
È proprio quando la situazione appare senza vie di uscita che è necessario inventare una soluzione nuova, qualcosa che vada oltre la mera sopravvivenza.
La crisi dei nostri tempi sembra richiedere proprio questo: “fare l’impossibile”.
Siamo cioè chiamati ad immaginare – individualmente e collettivamente – una nuova utopia, come unica possibile prospettiva, come speranza per una rinnovata umanità.
Ma abbiamo ancora, oggi, la capacità e il coraggio di tentare l’impossibile?
Oppure continuiamo a “fare tutto il possibile”, rimanendo ancorati alla nostra “zona di confort”, preservandoci comunque il diritto compensatorio al lamento cronico, alla flagellazione nostra e quella altrui o, peggio ancora, a proiettare sugli altri ogni responsabilità e il dovere di “fare qualcosa”.
Ci consoliamo così: “non posso farci niente, è il mondo che fa schifo!…”
Ed è questo che ci condanna a quel senso di impotenza personale di fronte agli eventi della vita.
Ci rassegniamo così ad ascoltare passivamente e ad affidarci alle soluzioni di presunti esperti, alle voci di una politica vecchia, ormai senza convinzione, che continua a propinarci le solite risposte tecniche, razionali, ma senza un vero slancio vitale e di fatto senza alcun futuro.
L’alternativa vera è la presa di coscienza delle nostre potenzialità personali, delle possibilità di una nuova visione, di un umanesimo nuovo fondato sui bisogni veri delle persone, che non sono le sovrastrutture sociali, i beni materiali, il possesso, il denaro, ma gli affetti e le relazioni fra le persone.
Nel nome di un amore autentico, non metafisico ma concreto, fatto di rispetto, empatia e accettazione, di noi stessi, degli altri e del mondo.
Per realizzare un destino condiviso.
“Quando una moltitudine di piccole persone in una moltitudine di piccoli luoghi cambiano una moltitudine di piccole cose, costoro possono cambiare la faccia del mondo” (F. Nietzsche).
Una volta un profeta si recò in una città per convertire i suoi abitanti.
All’inizio la gente ascoltava i suoi discorsi, ma a poco a poco il loro interesse venne meno, finché non ci fu più neppure un’anima ad ascoltare il profeta quando parlava.
Un viaggiatore disse allora al profeta: “Perché continui a predicare? Non vedi che la tua missione è senza speranza?”
Il profeta gli rispose: “All’inizio speravo di cambiarli. Ora continuo a predicare soltanto per impedire a loro di cambiare me” (riel da: A. de Mello).
La porta stretta
“Entrate per la porta stretta. Grande è la porta e spaziosa la via che conduce alla distruzione, e molti vi entrano.
È piccola la porta e stretto il cammino che conduce alla vita e sono pochi quelli che la trovano.” (Gesù – Mt 7,13-14).
Gesù non dice che sia difficile entrare per la porta stretta, ma che pochi sono quelli che la trovano.
Abbagliati e frastornati da ciò che si mostra, non si rendono neanche conto che quella grande e appariscente porta è in realtà una bocca spalancata che divora e distrugge tutto quello che vi entra. Pochi scorgono la modesta porta che conduce alla pienezza della vita.
La difficoltà non sta nell’entrare attraverso la porta stretta, ma nel vederla, nel trovarla.
Le scelte sbagliate che si compiono nella vita ci conducono a perdersi ed a smarrire la strada.
E anche quando trovassimo la porta non riusciremmo più ad entrarci perché è troppo tardi, è già chiusa!
Le porte larghe conducono alla disintegrazione. La porta stretta va verso la realizzazione di Sé come Persone. Ossia: il percorso per una vita autentica è “stretto” perché è personale e deve essere ricercato con “cura” e attenzione.
Le strade facili che si spalancano oggi davanti a noi si dimostrano in realtà come scorciatoie illusorie per una felicità effimera, sotto l’insegna del “tutto e subito”.
Sesso, droga, denaro e potere sono i feticci ingannatori di una percorso facilitato, che ci porta inevitabilmente alla depersonalizzazione e alla derealizzazione: la distruzione di ogni speranza di salvezza.
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Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano