Potere personale e responsabilità
”Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo.
Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.”
(O. Fallaci)
Siamo in un’epoca di grande decadenza generale; ogni ambito dell’esistenza umana (morale, culturale, sociale, economico, ecc.) sembra soffrire di una grave crisi.
Non è la “crisi fisiologica” tipica di tutte le fasi di transizione che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’uomo, in ogni civiltà e in ogni latitudine, ma una crisi di portata antropologica a livello planetario.
Siamo velocemente diretti verso un punto di svolta cruciale, un “punto del caos”, dove il nostro intero sistema sociale può imboccare una traiettoria verso il collasso, oppure far emergere una nuova “sovrastruttura” fondata su rinnovate modalità di funzionamento.
Sta ad ognuno di noi accompagnare “in bene” questo cambiamento, assumendoci con responsabilità la parte che ci compete.
Eppure sembra che non in tutti questo “senso di responsabilità” riesca a raggiungere la propria coscienza.
“Quando una intera cultura rifiuta di credere di aver qualcosa a che fare con ciò che sta accadendo, non si può fare nulla per ciò che sta accadendo” (N. D. Walsch).
Questo, in poche parole, è il succo della nostra attuale condizione sul nostro pianeta.
Ogni cosa che accade nella realtà collettiva (eventi, circostanze ed esperienze che viviamo insieme agli altri) è il risultato complesso di una “creazione comune”.
Che ci piaccia o no, ciascuno ha la sua parte di responsabilità e contribuisce a determinare ciò che quella realtà ci restituisce.
E le conseguenze di questa rappresentazione collettiva ci toccano da vicino, ingaggiano la nostra coscienza.
Il problema è che la maggior parte di noi non lo sa, o, peggio ancora, se lo sa, semplicemente si comporta come se non lo sapesse.
“Nessuna piccola goccia pensa mai di essere quella che ha fatto traboccare il vaso”.
Le persone pensano che siano solo i pochissimi al potere a creare gli eventi, e che le masse li debbano sopportare e basta.
Diamo così per scontato un ruolo passivo, inconsistente e impotente alla nostra partecipazione sociale.
Abbiamo persino il “vantaggio” di sentirci vittime degli eventi e di ciò che gli “altri” fanno accadere.
“Non è colpa nostra. Non abbiamo niente a che fare con tutto questo, e non ci possiamo fare niente…”, è il nostro più tipico atteggiamento.
Dobbiamo invece cominciare a sentire la responsabilità che ciascuno di noi ha, singolarmente, con maggiore o minore incidenza, a seconda del proprio ruolo sociale, nella costruzione della realtà che ci circonda.
Dobbiamo iniziare a riprenderci quel potere, piccolo o grande, che comunque abbiamo sempre per cambiare in meglio la nostra vita, a partire da noi stessi, dai nostri rapporti, dalle nostre relazioni, dai gruppi e dalle organizzazioni cui apparteniamo.
E questo dipende solo da noi, senza scuse, rimandi o negazioni.
Tutti dovremmo cercare di essere i protagonisti della vostra esistenza, non le comparse della vita di altri.
Oggi non basta più limitarsi a non far del male.
Essere considerate “brave persone” al giorno d’oggi ha paradossalmente una connotazione negativa.
Significa sostanzialmente che “sei un fesso”!…
Dobbiamo agire tutti, ciascuno per la propria parte, assumendoci la responsabilità individuale di migliorare le condizioni di vita, quelle nostre e della collettività.
Se non lo facciamo, con tutta probabilità arriveremo esattamente dove siamo diretti.
Al collasso sociale.
Colpa e responsabilità
“Quando dai la colpa a qualcuno, gli stai dando anche il potere di renderti felice o infelice” (S. Brizzi).
Quando sorge un problema, la prima risposta istintiva è la ricerca del “colpevole”.
Come se, una volta appiccato un incendio, cercassimo il piromane, prima ancora di provare a salvare il salvabile.
Cercare un colpevole è una difesa che non porta da nessuna parte.
Una volta che l’incendio è divampato, inutile cercare il fiammifero che l’ha acceso.
Possiamo flagellare, noi o gli altri quanto ci pare, ma non otteniamo alcuna riparazione.
Non elimina il danno e non dà alcuna giustizia per il torto subito.
Con questo atteggiamento è difficile trovare soluzioni, perché diventiamo noi stessi “parte” del problema!
“Dare la colpa ad altri è un meccanismo che puoi usare tutte le volte che non vuoi prenderti la responsabilità. Usalo, eviterai tutti i rischi e impedirai a te stesso di crescere” (W. Dyer).
Prima di scaricare altrove le “colpe” (vere o presunte che siano), di fronte ad ogni problema la cosa più utile è cercare di capire, con profonda onestà verso noi stessi, che “senso” ha quel problema e quale responsabilità possiamo riconoscerci nella situazione che si è determinata.
Se una cosa mi accade, possibile che io non ne sia minimamente parte?
È possibile che io non c’entri affatto e che tutto quel che mi succede cada “dal cielo”, venga dall’esterno, è oltre ogni mia portata? Io non lo credo affatto.
Se invece dal criterio della colpa passiamo a quello della responsabilità, possiamo riprenderci (almeno in parte) il potere di decidere della nostra vita, togliendola dalla volontà o dal capriccio degli altri.
Assumersi la “responsabilità” che ci compete in tutto ciò che accade nella nostra vita è cosa sostanzialmente diversa dall’attribuire “colpe” (agli altri o anche a noi stessi).
Persino di fronte ai “peccati” un cristiano viene perdonato, solo se c’è consapevolezza del peccato e relativo pentimento.
Questo comporta di dover accettare che in ogni azione o evento che ci riguarda, noi abbiamo un qualche ruolo, attivo o passivo, che contribuisce all’esito di quella stessa esperienza.
Così ad esempio, se qualcuno mi fa del male, lui/lei è certamente colpevole, ma è responsabilità mia decidere come reagire a quella prevaricazione, evitando che mi faccia di nuovo male.
“Se qualcuno ti fa del male una prima volta, è colpa sua. Ma se te lo fa una seconda volta, è colpa tua!”
Assumersi la propria responsabilità significa sostanzialmente riappropriarsi del “potere”, piccolo o grande che sia, che abbiamo per risolvere quel problema.
Se rimaniamo ancorati alla logica della colpa, ci condanniamo passivamente ad una illusoria aspettativa che debba essere qualcun altro ad agire per riparare il problema.
Una dipendenza inutile, penosa e spesso destinata ad andare delusa
I problemi che la vita ci sottopone rimangono comunque nostri e tocca a noi inevitabilmente affrontarli.
Smettiamola allora di pensare che la colpa sia sempre degli altri (di mogli, mariti, figli, capi, politici, autorità e così via), quando il vero problema è la “mancanza di potere che noi abbiamo su noi stessi” (G. Gaber).
Se il criterio della colpa porta ad un senso di impotenza, la responsabilità ci consente di riprenderci il potere su noi stessi, il solo che sia in grado di farci assumere il comando della nostra vita.
Azione e responsabilità
“Ci sono troppe persone che pregano affinché le montagne di problemi si dissolvano, ma ciò di cui hanno davvero bisogno è il coraggio di scalarle” (R.A. Jeffery).
A tutti, senza distinzione di ceto e condizioni sociali, la vita presenta inevitabilmente ostacoli e difficoltà. Sempre, in tutte le tappe della vita.
Non possiamo aspettare che siano gli altri ad affrontare i nostri problemi.
Prima che questi divengano montagne insormontabili, dobbiamo solo trovare il coraggio di affrontarle.
Dobbiamo prendere per mano la paura e non fuggire più dalle nostre possibilità.
La responsabilità è solo nostra.
Un giorno vidi per strada una bambina che tremava di freddo.
Aveva un vestitino troppo leggero e ben poca speranza in un pasto decente.
Mi arrabbiai e imprecai contro Dio:
“Perché permetti questo?
Perché non fai qualcosa?”
Per un po’ Dio non rispose niente, rimase in silenzio.
Poi di notte improvvisamente si fece capire:
“Certo che ho fatto qualcosa: ho fatto te!
Tu piuttosto cosa fai per risolvere i problemi del mondo? Non basta solo rilevarli, aspettando che altri agiscano per te.
Non ho creato io questi problemi, ma voi uomini stessi. Le cose più terribili che accadono nel mondo sono opera dei vostri pensieri, delle vostre azioni, dei vostri comportamenti, che antepongono il vostro egoismo all’amore verso gli altri! A voi tocca risolverli!” (riel. pers. da una storiella di A. de Mello)
È solo quando il pensiero si trasforma in azione che diventa esperienza.
È lì che la sapienza può divenire saggezza.
Amore di sé e amore degli altri sono le due facce della stessa medaglia.
Così come il freddo è assenza di calore, il buio assenza di luce, l’odio, il disinteresse, la paura sono assenza di Amore.
Bene e male
“Le persone piene d’amore vivono in un mondo pieno d’amore. Le persone ostili vivono in un mondo ostile. Ma il mondo è sempre lo stesso.” (W.W. Dyer)
Ciascuno di noi ha dunque la “propria” responsabilità nelle cose di questo mondo, guardando in specie questo periodo dove il Male sembra prevalere sul Bene.
A partire dall’alto, da chi detiene il potere e ha responsabilità politiche e sociali, fino all’ultimo di noi, nessuno escluso, tutti abbiamo la nostra parte di responsabilità su come va il mondo, ma ancora di più sulle prospettive di un realistico miglioramento, sulle possibili risposte ai problemi.
Ognuno secondo le proprie possibilità, le proprie competenze, i propri impegni personali, familiari, sociali, può essere parte di un cambiamento.
Se individualmente con le nostre azioni concrete nel quotidiano agiamo per il Bene, a partire dalla nostra cerchia di influenza e relazioni, possiamo facilitare la creazione di un movimento circolare, che si fa progressivamente sempre più ampio, e che assume il potere di modificare la realtà circostante.
La tendenza prevalente è invece quella rinunciare a questo “potere”, di pensare di non contare abbastanza, attribuendo così la “colpa” e la responsabilità agli Altri, rifugiandosi difensivamente nella propria “zona di confort”, nel proprio orticello privato, nella propria ignavia.
Questo defilarsi, tutt’altro che affrancarci dalla nostra responsabilità, è di fatto una dichiarazione di resa ad ogni possibilità di cambiamento.
Assumersi, in prima persona, la responsabilità della propria vita è l’inizio del cambiamento.
In tutti i campi della vita, nei rapporti sociali, nel lavoro, in amore, vale lo stesso principio: se non te ne occupi tu, se ne occupa qualcun altro. Perciò, se non agisci, lasci spazio agli altri. Gli altri si insinuano nelle crepe che lasci per la tua inerzia.
Poi non lamentarti, se ti “fregano” i tuoi meriti, il tuo lavoro, la tua donna (o il tuo uomo).
Assumiti le tue responsabilità e i rischi connessi, come dice il Dalai Lama:
“Segui sempre le tre R: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni.”
Ne sarà valsa comunque la pena.
Un istante
”Arrendersi e prendersela con Dio, con la vita o con gli altri, non richiede alcuno sforzo. Rimettersi in piedi assumendosi la responsabilità della propria vita e della propria felicità, spesso ne richiede uno grosso. Ma questa è la differenza fra vivere e sopravvivere” (C. Rainville).
Basterebbe arrestarsi solo un attimo, nella nostra incessante frenesia, nella nostra quotidiana routine, fermarsi un istante a riflettere e a valutare, facendosi largo nell’ingorgo dei pensieri e delle emozioni.
Un istante solo per misurare quanto le esigenze della nostra ragione siano in sintonia con quelle del cuore, e come (e se) le attuali condizioni della nostra esistenza siano in linea con le nostre aspettative e le nostre aspirazioni.
Potremmo forse drammaticamente accorgersi che buona parte della nostra vita, delle nostre azioni quotidiane, dei nostri apparenti obiettivi, dei nostri più segreti pensieri sono in una eclatante contraddizione con la nostra coscienza.
Non è una questione di buona volontà individuale ma di potere personale, di potere su noi stessi, quello cui abbiamo rinunciato da tempo, perseguendo il potere segli altri o un improbabile potere sul mondo.
“Se io fossi chiamato a dare un unico consiglio agli uomini, quello che giudicassi il più utile agli uomini del nostro secolo, io non direi loro che una cosa: in nome di Dio fermatevi per un istante, smettete di lavorare, guardatevi intorno, pensate a ciò che siete, pensate a ciò che dovreste essere, mirate ad un ideale” (L. Tolstoj).
Basterebbe forse poco, ma quel tanto necessario per farlo.
Dunque: se solo riuscissimo a cambiare idea rispetto a ciò che siamo, a pensarci come persone libere. Persone che hanno potere sulla propria esistenza.
Se solo riuscissimo a passare dal criterio della colpa (nostra o quella degli altri), a quello della responsabilità.
Uniti, l’uno agli altri, su questo comune livello di consapevolezza. Ciascuno responsabile della propria vita, entro il proprio limite di discrezionalità e capacità.
Potremmo forse finalmente cominciare a vedere il mondo in modo assai diverso.
“Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno” (Madre Teresa di Calcutta).
Se solo riuscissimo a concepire la libertà come confine, come la pelle segna i nostri margini corporei e il limite del nostro interagire con gli altri. La mia libertà finisce dove comincia la tua.
Se solo ognuno di noi, singolarmente, si assumesse le proprie responsabilità, senza scaricarle sugli altri.
Se smettessimo di lamentarci, inventarci scuse o cercare colpevoli, e aspettarci(chissà perché?!) che siano gli altri a cambiare le cose.
Se provassimo a riappropriarci del potere non del potere sugli altri, ma del potere che non abbiamo più su noi stessi, sulla nostra vita, sulle nostre relazioni e più in generale sulla realtà che ci circonda.
Se, poco o tanto, ciascuno secondo le proprie possibilità, non di più, facesse un po’ di tutto questo, il mondo diventerebbe migliore. Hic et nunc, qui e ora. Non domani ma subito.
Senza miracoli, ma realisticamente migliore. Un mondo di rapporti e comportamenti semplicemente più umani e più rispettosi dei limiti naturali, della dignità e del valore delle persone; riscoprendo così il dono che abbiamo di essere al mondo.
Essere vivi con gioia e non in guerra con tutti (con se stessi in primis), dipende soprattutto da noi. Noi per primi, perché gli altri sono esattamente il riflesso di noi stessi.
Io e Te, Noi e il prossimo. Perché tu sei il mio prossimo ed io sono il tuo prossimo: siamo tutti prossimo agli occhi dell’altro, in ogni relazione paritaria, rispettivamente e reciprocamente
Un istante per riflettere, il resto della vita per riallineare il senso della nostra esistenza; per ricostruire la linea ascensionale che va dai sensi al cuore, dal corpo alla mente, dalla materia a ricongiungersi con la propria anima e con lo spirito.
Perché contrariamente a quanto crediamo, noi non siamo esseri materiali che possono soltanto aspirare ad una qualche esperienza spirituale (P. Teilhard de Chardin).
Siamo esseri spirituali chiamati a vivere compiutamente un’esperienza terrena.
“Uomini che pensano una cosa, ne amano un’altra, ne fanno un’altra. Sono sempre altrove pur essendo qui. Temono la responsabilità e l’impegno più di tutto senza accorgersi che c’è una cosa ancor più grande di cui temere: una vita senza amore” (F. Caramagna).
Facciamolo! Altrimenti, rischieremo di sentire la nostra esistenza come uno spreco, un’occasione persa e una penosa incompiutezza.
Basta poco: che ci vuole?! …
Se solo …
Se …
Rischio
“Se dovessi darti un consiglio, ti direi: non lasciarti intimidire dalle opinioni altrui, poiché solo la mediocrità cerca conferme. Affronta i rischi e fa quello che desideri.” (P. Coelho)
Quello che accade nella nostra vita è dunque il riflesso di quello che pensiamo, desideriamo, progettiamo e realizziamo (cioè rendiamo reale), seguendo le nostre più profonde ed autentiche intenzioni.
Se prevale la paura, otterremo esattamente tutto ciò che vi è connesso: angoscia, negatività, rinunce.
Se non decidiamo di prendere in mano, di assumerci la responsabilità e il rischio di orientare il corso della nostra vita, saranno gli altri che decideranno al posto nostro.
La tua vita andrà secondo strade e scelte che non sono tue.
Ciò che paventava la paura, il rischio di fallire diventa reale: ha vinto la paura!
“La vita è un processo in cui si deve costantemente scegliere tra la sicurezza (per paura e per il bisogno di difendersi) e il rischio (per progredire e crescere). Scegli di crescere almeno dieci volte al giorno” (A. Maslow).
Il rischio peggiore della nostra esistenza terrena è proprio quello di “star fermi”, di lasciar trascorrere la vita, aspettando che succeda qualcosa.
Ricordo che da ragazzino, mia nonna materna, saggia napoletana verace, per vincere le mie timidezze e ritrosie ad agire e darmi da fare, mi diceva: “Robertino, se stai fermo, te cacano ‘e mosche!…”. C’è voluto del tempo perché capissi che mia nonna intendeva esattamente questo: guai a star fermo, perché le cose vadano male non devi far nulla, persino le mosche si posano su di te lasciando i loro escrementi; per fare bene, per andare verso le cose che vuoi, verso la “felicità”, ti devi dar da fare, superare ogni tentennamento. Prima che sia troppo tardi.
Altrimenti, con molto ritardo e grandi rimpianti ci accorgeremo che, mentre aspettavamo qualcosa dalla vita, era la vita che aspettava qualcosa da noi, che noi agissimo per costruire le cose che desideriamo.
In caso contrario – ed è forse l’esperienza di vita più comune – l’esito drammatico è che la vita diventa residuale, non autenticamente vissuta, fondamentalmente sprecata.
Nient’altro che rimasugli di sogni, briciole di desideri, tanti doveri e qualche contentino qua e là …
Destino
“Il destino mescola le carte, ma è l’uomo a giocare la partita.”(V. Hugo)
I problemi e le difficoltà della vita sono inevitabili, non possono essere eliminati.
Tanto vale affrontarli, senza tentare illusoriamente di schivarli.
Porta allora i tuoi fardelli, assumiti i tuoi compiti e le tue responsabilità.
Non c’è nulla di così difficile, di così terrificante che tu non sia in grado di affrontare.
Altrimenti non sarebbe il tuo destino, ma quello di un altro!
Inutile prendersela con Dio, il destino, il sistema, i potenti di turno: tutti noi abbiamo una qualche responsabilità, ciascuno secondo il suo ruolo, sulle sorti del mondo, ma soprattutto sulla nostra vita.
Persino un cattivo governo – diceva Gaber – è il segno del livello culturale di un popolo.
Il problema allora non sono gli altri, i politici, il denaro, i capi, i colleghi, i vicini, i mariti, le mogli, i figli, ecc.
Il problema è lo scarso potere che noi abbiamo su noi stessi, cioè quello di determinare noi, in piena intenzione e consapevolezza, la strada e il percorso che intravvediamo, in ogni fase della nostra vita. Che è l’esatto contrario del nostro vissuto di impotenza di fronte agli ostacoli e agli eventi avversi della nostra vita.
Questa impotenza, che preferiamo non vedere, proiettando la colpa fuori di noi, ci impedisce di esercitare fino in fondo la nostra parte, con la responsabilità (non la colpa, che non serve mai a niente!) che ci compete.
Ognuno di noi ha la possibilità di fare qualcosa, esercitare un potere di azione, grande o piccolo che sia, a partire dal proprio spazio privato (dentro di sé e nelle relazioni più significative) fino al proprio ruolo sociale.
Smettendo finalmente di sentirsi eternamente come un bambino di fronte ad un compito da adulti. E sul piano sociale, smettere di comportarsi da suddito, passivo e rassegnato e diventare finalmente un cittadino, attivo e co-protagonista della scena collettiva.
Il nostro destino viene formato dai nostri pensieri e dalle nostre azioni.
Di fronte ai problemi della vita (quella personale o quella sociale) o portiamo le nostre proposte, le nostre soluzioni, oppure siamo anche noi parte del problema.
Come dice A. Robbins, non possiamo cambiare il vento, ma potremo pur sempre orientare le vele!
Dobbiamo avere una fiducia di fondo in noi stessi e nell’universo che ci contiene.
Bisogna credere che ad un certo livello tutto abbia un senso.
Se ci proviamo, possiamo ottenere scorci di quel senso.
Libertà
“Dio, dandoci la libertà – che ci fa scegliere tra Lui e il contrario di Lui – fa in modo che la nostra esistenza sia nelle nostre mani” (G. Amorth)
La responsabilità di scegliere fra il bene e il male è allora solo nostra.
È totalmente nelle nostre mani.È inutile dare la colpa a qualcun altro.
Attribuendo agli altri la causa dei nostri problemi, finiamo col dipendere totalmente dagli altri, nelle soluzioni e nelle scelte della nostra vita, rinunciando così di fatto alla possibilità che comunque abbiamo per migliorare la nostra condizione.
Abbandoniamo il criterio della colpa (lasciamole alle religioni o ai moralisti), assumiamoci sempre le responsabilità personali che ci spettano.
Solo così potremo discernere con consapevole convinzione ciò che compete a noi dalle responsabilità degli altri.
Il principio della responsabilità (non quello della colpa) è il discrimine fra i diritti e i doveri.
Sursum corda, dicevano i latini, tradotto più ironicamente: “quando il destino ti chiama, non puoi darti malato!”
DIC
Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano