Il sentire dell’anima
“Come si chiama quella parte del nostro corpo che ha la pelle troppo delicata, che quando esce nel mondo si deve proteggere dagli urti, dai colpi improvvisi, dagli strattoni, persino dal freddo e dalle vibrazioni delle parole?
Sensibilità. Si chiama sensibilità.”
(F. Caramagna)
La sensibilità è un valore, un dono che non tutti hanno.
È la capacità di intuire con i “sensi” le tante sfaccettature e le parti più segrete, nostre e delle altre persone, quasi leggendo fra le righe dei pensieri. È la percezione dell’invisibile, il sentire dell’anima.
Il contatto costante con tutta la gamma emozionale del mondo interiore (dal dolore alla gioia) fa di questa “abilità” uno strumento delicato per penetrare in profondità nella vita, al di là della ragione e delle parole.
Per questo, quando il sentire e il percepire diventa eccessivo, la sensibilità può diventare un tormento.
E l’ipersensibile smette di concepirla come un talento ma la vive come una condanna.
“Sono così, sai, le persone sensibili. Sentono il doppio, sentono prima. Perché, esattamente un passo avanti al loro corpo, cammina la loro anima” (S. Santorelli).
È vero: l’ipersensibilità può diventare un problema, può creare disagio personale. Le persone sensibili finiscono per soffrire quando si identificano eccessivamente e vivono le cose che ci circondano come fossero riferite a se stesse: è un meccanismo proiettivo automatico per “esprimere” lo stato emotivo particolare che stanno attraversando.
Se invece la sensibilità verso le situazioni e le persone non viene fraintesa come riferimento a se stessi, allora rappresenta una risorsa per “cogliere” più a fondo il senso delle cose, per “comprendere” anche il dolore e le emozioni degli altri (sensibilità empatica).
L’eccessiva sensibilità può quindi produrre sofferenza, ma se sei sensibile non puoi fare altro: la persona sensibile non può essere diversa, non può essere superficiale e insensibile.
Non puoi liberarti della sensibilità, puoi solo cercare di imparare a gestirla come una tua peculiare e preziosa competenza, la modalità specifica per approcciare e vivere la vita, con tatto e delicatezza.
La sensibilità dunque o ce l’hai o non ce l’hai!
Chi non ce l’ha non sa neanche minimamente cosa si perde e non capisce affatto di non averla. Non può diventare sensibile nemmeno se si sforza: non è una competenza “scolarizzabile”, che si può apprendere.
Chi ce l’ha, deve solo accettarla, la può ulteriormente affinare per imparare a gestirla come un “mezzo” privilegiato per accedere all’essenza della vita (“phisis”), ed attingere dalla linfa vitale che anima il mondo: l’amore.
“Sono abitato da un grido. Di notte esce svolazzando in cerca, con i suoi uncini, di qualcosa da amare” (S. Plath).
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Circa l'autore:
Dr. Roberto Calia Psicologo Psicoterapeuta Milano